Donne protagoniste assolute nella lotta contro il Covid, impegnate nella sanità, nei sevizi socio sanitari, socio assistenziali, nella scuola, nelle fabbriche, nei lavori di pulizia, nel commercio, nella sicurezza e nelle tante attività e lavori essenziali.
Lavoratrici spesso vittime in quanto tali della pandemia. In un anno, su 3.501 infortuni sul lavoro per contagi Covid denunciati nelle Marche, 2.492 hanno colpito le donne (71,2%): infermiere, operatrici sociosanitarie, socio assistenziali, mediche, lavoratrici delle pulizie e tante altre.
Donne che hanno fatto i conti con maggiori e più gravosi carichi di lavoro, costrette spesso a riorganizzarsi nel lavoro a distanza e nella cura dei figli a casa. Donne che a causa della crisi il lavoro lo hanno già perduto: su 35 mila posti di lavoro persi in un anno nelle Marche, 25 mila erano lavori svolti da donne (71,4%).
Donne alle prese con vecchie e nuove diseguaglianze ancora tutte da superare nel lavoro e nella società. Innanzitutto sul fronte della qualità del lavoro, costrette a misurarsi più degli uomini con la precarietà e soprattutto con lavori part time spesso involontario, tanto che nelle Marche solo una lavoratrice su tre ha un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, mentre gli uomini con un lavoro stabile e a tempo pieno sono i due terzi dei lavoratori.
Lavoratrici che ancora faticano a veder riconoscere e valorizzare le competenze che possono e vogliono esprimere sul lavoro e che ancora si misurano con le enormi difficoltà prima a trovare lavoro e poi nell’avanzamento di carriera, spesso segregate nelle mansioni e nei livelli più bassi.
Diseguaglianze che si traducono in divari retributivi inaccettabili che nelle Marche portano le lavoratrici a percepire 7.100 euro lordi annui meno degli uomini nel lavoro privato e 8.700 euro in quello pubblico.
Donne sulle quali pesa il carico maggiore del lavoro di cura, aggravato dalla chiusura delle scuole e dei servizi di assistenza a causa del virus, perché ancora si fatica ad affermare il valore dl welfare e la cultura della condivisione delle responsabilità familiari e del lavoro di cura. Cosi ogni anno, quasi 900 lavoratrici lasciano il lavoro alla nascita di un figlio: una decisione a cui spesso sono costrette dalla mancanza di alternative, non potendo contare su un’adeguata rete di servizi per l’infanzia o perché l’asilo nido è troppo caro, mentre non possono contare neanche su una rete familiare di supporto, con nonne e nonni costretti ad andare in pensione troppo tardi nonostante una lunga vita di lavoro.
Inadeguato ai bisogni è il sistema di welfare a partire dall’assistenza per le persone non autosufficienti cosi come i servizi educativi per la prima infanzia tanto che solo un bambino su 4 può trovare posto all’asilo nido, senza contare il fatto che nelle Marche gli asili hanno costi troppo alti per le famiglie, molto più alti della media nazionale.
E di fronte alle scuole di nuovo chiuse che costringono ancora alla sola didattica a distanza è urgente garantire i congedi parentali per alleviare le difficoltà delle famiglie.
Sono queste le priorità a cui si dovrebbero dare urgentemente risposte, anziché fare i conti con i rigurgiti di una arretrata cultura patriarcale che vorrebbe donne meste e sottomesse, prigioniere di ruoli scelti da altri.
Le donne vogliono lavoro, uguaglianza, diritti e libertà, compresa la libertà di scegliere se essere o non essere madri. Vogliono che le leggi dello Stato siano pienamente applicate, compresa la Legge 194, vogliono che sia data subito attuazione alle linee guida del Ministero per l’aborto farmacologico, vogliono ospedali che non siano ostaggi degli obiettori e risorse per consultori efficienti e diffusi nel territorio.
Come chiede anche l’Europa, le donne vogliono essere pienamente protagoniste del futuro, della ricostruzione e del rilancio del Paese, con il loro lavoro, la loro intelligenza, la loro energia, la loro forza. Per questo continueranno a lottare.
Buon 8 marzo a tutte!