Quando ti sei scoperto alpinista? Guardando le nostre splendide montagne, i Sibillini.
Quando hai cominciato ad arrampicarti?
Relativamente tardi, a 29 anni. Sono stato sempre un amante della montagna e ho praticato diversi sport, ma l'amore per l'alpinismo è arrivato più tardi.
Si possono trovare analogie tra i Sibillini e l'Himalaya?
L'Himalaya è probabilmente l'unico posto in cui si vive in un'altra dimensione. Si apprezza la bellezza e grandiosità della natura, poi man mano che si sale di quota le emozioni cambiano e arriva la commozione.
A cosa pensi mentre sali?
I pensieri sono concentrati sull'obiettivo finale, la vetta, al resto non si pensa.
E poi, una volta arrivati in cima?
In vetta mi capita spesso di piangere.
Come ci si prepara per un evento così impegnativo?
La vetta è stata raggiunta il 24 luglio scorso. Negli anni precedenti, per tre volte alla settimana, ho svolto un allenamento diversificato. Una parte di corsa e una parte tecnica che comprende esercizi di arrampicata sul ghiaccio.
Quanti chilometri corri alla settimana?
Durante la preparazione comincio a correre da Porta Romana, dove abito e arrivo in montagna, presso “la Croce”, montagna dei Fiori. La corsa alpina non si misura in metri, ma in dislivello. Di solito faccio 1800 metri in dislivello, per rendere l'idea si tratta di almeno tre maratone a settimana, circa 150 chilometri... Un'altra parte dell'allenamento è stata effettuata sul Monte Bianco e sul Monte Rosa, per trovare caratteristiche più simili al massiccio himalayano.
Qual è la caratteristica principale di un alpinista?
Bisogna essere innamorati della montagna. Inoltre é importantissimo saper soffrire, perché l'alpinismo himalayano è un alpinismo di sofferenza.
E fisicamente, che caratteristiche?
Avere un fisico bestiale! Cioè avere una capacità aerobica da maratoneta e una capacità tecnica da alpinista. Come nel “nostro” alpinismo su ghiaccio, l'uso di ramponi e piccozza sono complicati mostruosamente dalla quota. Già sopra i 6000 metri manca completamente energia fisica. Siamo saliti con lo stile alpino, di campo in campo fino alla vetta. Tieni conto che abbiamo portato tutto il carico sulle spalle, senza l'ausilio di slitte o portatori. Alcune volte è capitato di portare uno zaino di 35 chili, senza maschera d'ossigeno.
Il tuo compagno d'avventura Mario Salvi ha dovuto rinunciare alla vetta, perché?
Purtroppo Mario ha avuto una bronchite che assolutamente gli ha impedito di proseguire. A quelle quote bisogna avere una condizione fisica perfetta. Un peccato, eravamo arrivati insieme fino a 7400 metri circa.
Poi hai proseguito da solo?
Si, in solitaria fino alla vetta.
Hai 48 anni, l'esperienza ti ha aiutato?
Sicuramente in questo campo l'esperienza conta molto. Chiaro, se avessi avuto 30 anni sarebbe stato meglio, però con l'età migliora anche la resistenza, indispensabile per l'arrampicata, a fronte di un calo dell'esplosività muscolare. Non dimenticare che poi bisogna scendere...
Già, la discesa, come si affronta?
Si parla sempre della salita e mai della discesa, che poi é il momento più pericoloso. Primo, perché sei stanchissimo perché sei a fine giornata, secondo perché arriva la notte e la temperatura scende di molto. Il freddo complica tutto. Se si rimane su un 8000 di notte non c'é scampo, si muore.
Che temperature hai trovato?
Sono stato molto fortunato. Di giorno era caldo, ovviamente parliamo di temperature sempre sotto lo zero, mentre durante la notte il termometro è sceso anche a -40 C.
Che tipo di tessuti e attrezzature hai usato?
Si tratta di materiali molto nuovi, professionali, che aiutano molto.
Hai avuto paura a di incappare in qualche incidente, o peggio ancora di morire?
In allenamento si, i pensieri cattivi arrivano. Poi quando é il momento di salire mi concentro solo alla vetta e a vincere. Purtroppo gli incidenti nell'alpinismo non sono rari. Qualche giorno prima della mia spedizione è morto un ragazzo austriaco, una cosa terribile, non ce l'ha fatta per la troppa fatica. Nell'altro versante della montagna una slavina ha investito, uccidendoli, tre alpinisti russi.
Tuo figlio di 10 anni è arrivato terzo al Campionato italiano di arrampicata sportiva, un predestinato?
Considera che l'arrampicata sportiva è molto diversa dalla mia disciplina. L'alpinismo è molto più di uno sport, metti in gioco valori come la vita, forse per questo mi hanno dato il “Picchio”.
Vuoi parlarci della tua prossima avventura?
Veramente non vorrei anticipare nulla a proposito della mia prossima spedizione, ma vi assicuro che sarà all'altezza (in tutti i sensi) della precedente....