Così come per la prima volta, credo, ne abbiamo visto sventolare una sul municipio di Ascoli, in balia dei capricci del vento.
Giustissimo contribuire a questa nuova clima dopo sconfitte, disfattismo imperante, retrocessione diretta accarezzata per mesi, equivoci e malumori a seguito di una società ritenuta posta in vendita ma che dopo un amen si ritirava dal mercato.
Quindi è assolutamente condivisibile e comprensibile che un amministratore pubblico interpreti puntualmente il sentimento dei suoi amministrati e se ne faccia portavoce.
Ma alla vigilia di un altro miracolo calcistico piceno, a due giorni, speriamo, da una salvezza diretta incredibile ed insperata, non vorrei che l’Ascoli calcio si identificasse solo con gli echi delle rue del capoluogo.
Chi scrive è vissuto per quaranta anni nel centro città, per venti ne ha umilmente raccontato le gesta, quindi figuriamoci se non fosse orgoglioso di questo sillogismo Ascoli Piceno- Ascoli Calcio. Per non dimenticare che ascolano verace fu Costantino, ultimo “ capitano de lu populo” in versione moderno, che tra un “ loc” ed un “ arrete”, ha saputo interpretare, senza pari, i vizi e le virtù dell’ascolano medio.
Ma in questi giorni di trepida attesa e di misurato ottimismo credo che sia giusto ricordare che la forza dell’Ascoli è stata quella di essere la squadra di un territorio, che ha travalicato le mura intrise di storia della città di cui porta il nome, caso raro se non unico nel panorama nazionale delle piccole squadre di provincia, evidente eredità dell’era Rozzi che ancora si tramanda.
L’Ascoli ha seguito tra i confini della attuale provincia, zona Samb esclusa ovviamente, di quella vecchia, nel maceratese, per non parlare della vicina Val Vibrata, e il famoso equivoco con il Pescara ne è la riprova, dove fu vietata la trasferta ai residenti in Abruzzo ignorando che in certe zone di esso tutti tifano bianconero.
La forza dell’Ascoli è questa e basta esser in curva o nei locali intorno allo stadio per rendersi conto di questa sorta di Torre di Babele, dopo si mescolano dialetti più disparati, dal fermano al montanaro stretto fino, appunto, alla inflessione regnicola.
L’Ascoli, quindi, simbolo di una città ma anche di un territorio dove proprio il calcio anticipa ed interpreta una constatazione evidente che vede Ascoli capoluogo di una provincia di fatto che travalica gli stretti, per noi, confini amministrativi.
Ecco perché ritengo giusto che se domenica sarà salvezza diretta, come ci auguriamo tutti, oltre omaggiare la città ed il suo inimitabile seguito, ricordare anche tutti quelli che, dal minimo dei paganti con tal Ischia Isolaverde o nella salvezza mendicata contro l’Andria, esempi tipici dei tempi del buio della serie C, hanno tenuto in alto il nome dell’Ascoli pur non beneficiando dell’ombra delle cento torri che graffiano il cielo.