Coronavirus e clima: il Sole fa scemare il Coronavirus solo del 26% e il rischio resta perché non incidono in modo significativo sull’involuzione della pandemia sia il clima caldo che primaverile.

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Coronavirus e clima: il Sole fa scemare il Coronavirus solo del 26% e il rischio resta perché non incidono in modo significativo sull’involuzione della pandemia sia il clima caldo che primaverile.

Fazzini (climatologo Università di Camerino): 'Dallo studio è emerso che solo il Sole fa scemare il Coronavirus, ma appena del 26%' . 

Ancona -  “Dallo studio effettuato dal mio team multidisciplinare comprendente esperti e accademici delle Università Bicocca di Milano, Roma Tre e Chieti-Pescara, è emerso che solo il Sole fa scemare il Coronavirus ma appena del 26% e che il rischio resta perché non incidono in modo significativo sull’involuzione della pandemia sia il clima caldo che primaverile.


L’interazione statistica tra pandemia e ambiente fisico sarebbe con molta probabilità da ricercare con la densità di popolazione e soprattutto con la densità di attività del terziario, particolarmente diffuso nelle aree a maggiore evoluzione pandemica della regione e nel modo di socializzare. Dunque il virus in Estate scemerà ma bisognerà stare attenti. Non è escluso che possa ulteriormente scemare oltre i 27 gradi ma siamo in un campo minato, nuovo e per questo stiamo continuando la ricerca”.


Lo ha affermato Massimiliano Fazzini, climatologo dell’Università di Camerino e coordinatore del gruppo di esperti sul “Rischio Climatico” della Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA). Fazzini che, in piena fase acuta è stato in “trincea” coordinando ben tre aree di emergenza in Lombardia, ha guidato il team multidisciplinare – accademico formato da importanti esperti della Bicocca di Milano, Roma Tre, Università di Chieti – Pescara e Università di Camerino, nell’importante ricerca che ha messo in relazione l’andamento della pandemia con le variazioni climatiche. La ricerca è in corso anche su altre aree dell’Italia.


“Si tratta di uno studio annunciato nei mesi scorsi, del quale abbiamo ora i risultati avanzati e che ha messo in relazione clima, morfologia e coronavirus – ha continuato Fazzini - al quale hanno partecipato geografi, virologi ed altri specialisti sanitari - prossimo ad essere inviato per la rilettura sulla prestigiosa rivista “Science of the total Environment”. Dall’analisi dei dati climatici ed epidemiologici giornalieri relativa al bimestre 20 febbraio – 20 aprile effettuata su situazioni rappresentative dell’area più intensamente colpita dalla pandemia nel territorio lombardo si evincerebbe una scarsa dipendenza dell’evoluzione epidemiologica rispetto a tutte le variabili climatologiche normalmente misurate presso le più moderne ed attrezzate stazioni di rilevamento meteo-ambientali disponibili.


L’analisi dei dati meteo è riferita alle stazioni di rilevamento gestite dall’ARPA LOMBARDIA a norma WMO di Bergamo stadio, Brescia Ziziola, Chiari, Soncino, Codogno, Cevo, Limone sul Garda e Manerba sul Garda. Relativamente all’aspetto epidemiologico, è stato considerato, per ciascun comune delle province di Lodi, Bergamo e Brescia, il parametro giornaliero risultato scientificamente e statisticamente più verosimile, la percentuale di primi tamponi positivi rispetto al totale. Lo studio è stato forzatamente interrotto il 20 aprile, in quanto, vista la graduale attenuazione dell’epidemia, non si disponeva più, per i singoli comuni degli appena menzionati dati relativi ai tamponi”.



Ma ecco cosa è emerso di particolarmente significativo:


“Dall’analisi multivariata condotta tra la variabile indipendente “tamponi” e le variabili dipendenti temperatura minima e massima, umidità relativa media, direzione e velocità del vento medio, radiazione solare, alle quali sono state aggiunte le variabili morfologiche – ha proseguito Fazzini – quali: quota, distanza dall’asse del fiume Po e distanza dai rilievi prealpini prospicenti la pianura padana, è emerso che solamente il parametro radiazione solare è relazionato inversamente con la variabile epidemiologica, con una percentuale di variabilità spiegata però comunque bassa, circa il 26% . Dunque è per lo meno possibile affermare che in giornate molto soleggiate, il numero di tamponi positivi tende a scemare. Allo stesso tempo, però, non risulta esserci alcuna evidenza con la temperatura massima che nel periodo oggetto delle analisi non ha comunque superato i 25.5°C in nessuna stazione meteorologica analizzata”.


Ricerca anche in Molise e Basilicata. Lo studio sta continuando anche su Brescia.


“Tentando poi ulteriormente di comprendere l’eventuale legame tra temperature medie e pandemia, sono stati analizzati i dati delle stazioni di rilevamento meteorologico di Campochiaro e Potenza – ha concluso Fazzini - evidentemente molto rappresentative delle condizioni termiche medie delle due regioni meno colpite dalla pandemia: Molise e Lucania. Ebbene, i dati termici medi e massimi per i mesi di marzo ed aprile di entrambe le due stazioni situate nell’Italia centro-meridionale mostrerebbero valori medi più bassi - di circa 1,5°C - rispetto a quelli delle principali città lombarde coinvolte nello studio –nella fattispecie Bergamo e Brescia, a conferma che, almeno per i climi temperati e nella stagione primaverile, non vi sarebbe alcuna influenza di temperature più elevate sull’eventuale “involuzione” della pandemia


D’altro canto, infine, lo studio sta proseguendo per la città di Brescia e neppure le temperature decisamente elevate di questi ultimi giorni sembrerebbero influenzare al momento l’evoluzione del virus.


Dunque l’interazione statistica tra pandemia s.l. è ambiente fisico sarebbe con molta probabilità da ricercare con la densità di popolazione e soprattutto con la densità di attività del terziario, particolarmente diffuso nelle aree a maggiore evoluzione pandemica della regione. Siamo dinanzi ad un campo nuovo e dunque tutti gli scenari futuri sono possibili”.