Ascoli - Si tiene oggi la Conferenza dei Sindaci sulla sanità del Piceno. La premessa del sindaco Guido Castelli già prima delle elezioni apriva con “Cosa faremmo se fossimo Ceriscioli”, lo slogan sulla sanità lanciato da Forza Italia. La sanità delle Marche, Piceno in primis, per Forza Italia ha necessità di essere rivista a bocce ferme. Così non va. E il sindaco Guido Castelli disegna i possibili sviluppi partendo dallo status quo. La Conferenza dei Sindaci serve ad affrontare una visione di prospettiva immediata e futura.
“Il problema della sanità del Piceno – afferma il primo cittadino ascolano, presidente della Conferenza dei Sindaci – non può prescindere da una rivisitazione del settore a livello regionale”. C'è un oggi e un invece nella disamina di Forza Italia. “Si, perché dobbiamo valutare le modifiche della programmazione sanitaria – spiega Castelli – sulla base di due aspetti: se resta l'attuale normativa o se invece le regole della sanità dovessero cambiare. Allora Forza Italia propone i diversi scenari per tutte queste condizioni”.
Liste d'attesa, carenza di personale, posti letto fantasma, nuovi ospedali che si edificano sono per Forza Italia figli della stessa cattiva gestione. “E di questa nostra strategia a favore della comunità marchigiana – afferma il sindaco di Ascoli Piceno - si faranno carico in Regione i nostri rappresentanti in Consiglio regionale. Insomma ci sarà una proposta di legge di riforma della sanità regionale”.
“Guardate, non facciamo altro che rifarci, sposandoli, ai dati enunciati dalla Cisl – dice Castelli – sia a livello di sanità locale sia a livello di proposta di riforma regionale. La soluzione è tutta nell'organizzazione della rete ospedaliera e sanitaria delle Marche. I deficit che noi lamentiamo nel territorio sono l'esito di un'organizzazione che va riformata. Ci assumiamo quindi la responsabilità di una proposta concreta”.
Liste d'attesa. “Parliamo di prestazioni di sanità programmata che secondo la legge debbono essere svolte entro 180 giorni – spiega Guido Castelli – Gli ultimi dati ci dicono invece che ad Ascoli sulla Radiologia abbiamo delle sofferenze che sono enormi: per una colonscopia si va a febbraio 2019, un'ecografia all'addome aprile 2019, per esami radiologici al cervello marzo 2019. Siamo in una situazione che non va certamente bene”.
Per Castelli non si può obiettare, come dice Giulietta Capocasa, direttore Area Vasta 5, che infondo si tratta di programmato e quindi questi tempi ci possono stare.
“Se un cittadino vuole fare degli esami – sostiene Castelli – si vede che qualcosa non va. O perché vuole fare prevenzione. Questi ritardi hanno questo elemento di gravità: si rinuncia completamente alla prevenzione”.
Quindi avviene che la prevenzione ormai la fanno un po' i Comuni insieme alle associazioni del Terzo Settore. C'è stata una deresponsabilizzazione del servizio pubblico che si esprime attraverso questi deficit delle liste d'attesa che hanno questa caratteristica specifica.
Per migliorare la situazione nel nostro territorio occorre innanzitutto riprendere il programma delle Case della salute (se ne dovevano fare tre) che sono però scomparse dai radar. Seconda proposta che facciamo è quella delle prestazioni aggiuntive, in particolare nella radiologia dove si misura quel ritardo di prestazioni. Il 20% degli italiani, dice l'Istat, ha rinunciato alle cure per mancanza di danaro. Questo non può sfuggire alla Regione e a Ceriscioli: siamo in una fase di affaticamento economico per il quale la lotta per la prevenzione e la gestione del programmato deve ritornare centrale.
Tutto questo non vale solo per Ascoli, ma per tutta la regione. Nel sud delle Marche, secondo la Cisl, poi c'è il sotto dimensionamento del personale e dei fondi per il personale e dei posti letto extra ospedalieri: lungodegenza. Il Santo Stefano si è visto accreditare solo sulla carta 22 posti letto
che sono stati assegnati teoricamente e non convenzionati, quindi c'è una lunga lista d'attesa perché la riabilitazione post traumatica è il problema dei problemi. C'è un sottodimensionamento delle risorse che il vero problema al quale la rete ospedaliera dovrebbe rispondere.
Ci si limita al numero di ospedali da fare senza mettere mano all'architettura che può dare un senso a questa o a un'altra razionalizzazione di una rete ospedaliera.
I dati della Cisl ricordano che noi facciamo nel sud delle marche il 44% di tutta la mobilità attiva regionale (fra privato e pubblico), quei soldi non vengono riconosciuti alla nostra Area Vasta 5 perché finiscono nel calderone e servono a finanziare la mobilità passiva che fanno altri. Abbiamo invece una mobilità passiva extra regionale ridotta: il 14%.
Il punto è come riusciamo a superare questo gap?
Ceriscioli ha ancora 200 milioni ereditati dalle virtuosità derivanti dalla legislatura precedente e che ancora non ha deciso come spendere, quindi questo tesoretto dovrebbero servire a compensare il deficit che si diceva.
Fatta questa premessa se noi fossimo Ceriscioli prima cosa, se non cambia la legge, l'unica soluzione è riorganizzare l'ospedale Mazzoni con 40 o 50 milioni e fare un ospedale nuovo e performante a San Benedetto con specializzazioni per la traumatologia e l'emergenza-urgenza. Se invece la Regione ritiene di modificare qualcosa c'è la seconda ipotesi: si faccia l'Azienda ospedaliera, così si potrà compensare con l'autonomia economica la mobilità attiva.
“Dice Maresca: l'azienda ospedaliera va in perdita. - ricorda Castelli - E' vero, ma tutte le aziende ospedaliere in Italia sono in perdita è una scelta politica. E' in perdita Pesaro, è in perdita Torrette. E' una scelta politica. Perché deve valere – chiede Castelli - solo per Ascoli?”.
Andiamo oltre. Altra proposta è quella di rivedere l'architettura dell'Asur.
Due le strade: la prima è quella di mantenere in capo all'Asur esclusivamente funzioni logistiche di acquisizione di beni e servizi e ritornare alle aziende sanitarie locali: territorio, bilancio autonomo e quant'altro.
Un assessorato alla salute che programma, una Asur (come nel 2003) che si occupava dei servizi generali.
Poi c'è una via intermedia della quale parla Giuseppe Zuccatelli (LeU) il modello di centralizzazione va superato perché non ha funzionato soprattutto è la gestione del personale. Il direttore di Area Vasta ora è privo dei poteri e capacità organizzativa per governare la relazione col medico e con il personale.
Quel modello che funziona sul piano della logistica non funziona con le professioni sanitarie.
Allora la soluzione intermedia, se non si vuole ritornare alle aziende sanitarie, è quella di dare autonomia giuridica e di gestione del personale alle Aree vaste, che possono anche essere meno di 5 se è necessario. Zuccatelli dice che la gestione ottimale direzione-personale si valuta su un numero di 3 mila dipendenti.