“Siamo costretti a riproporre la questione – spiegano i consiglieri del Pd – non solo perché le risposte dateci dall’assessore Castelli a un precedente atto ispettivo sono state fumose e lacunose, ma anche e soprattutto perché il tema riveste un’assoluta e prioritaria rilevanza morale, politica, giuridico-istituzionale ed economica da non poter passare nell’indifferenza e nel silenzio dei più. Del resto, stiamo parlando di un incarico che prevede un compenso stimabile intorno a un milione di euro per l’intero quinquennio”.
L’interrogazione è rivolta direttamente al presidente della giunta Francesco Acquaroli, al quale viene chiesto se non ritenga opportuno proporre la revoca della delibera di nomina e la riattivazione dell’iter per la copertura del posto di segretario generale in modo da ripristinare legittimità e legalità alla nomina stessa.
Sono infatti molte le criticità rilevate nell’atto che ha portato Becchetti, già capo di gabinetto dei governi Spacca, al vertice della struttura amministrativa regionale. Tra queste spicca l’insussistenza dei requisiti minimi previsti per giustificare e rendere legittimo il conferimento dell’incarico.
“A dispetto di quanto detto dall’assessore Castelli – affermano i dem – non risulta alcun valido atto che dimostri che Becchetti, negli anni del governo Spacca, abbia legittimamente assunto incarichi dirigenziali. E la sua nomina a capo di gabinetto dell’ex presidente, che rappresenta un esercizio di funzioni politiche, non è da ritenersi “un’esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali”, come richiesto dalla legge regionale 20 del 2001 per assumere l’incarico di segretario generale. Ma non solo, nell’intervento in consiglio di Castelli non si scorge neanche la minima motivazione circa l’insussistenza dei requisiti di altri due dirigenti regionali che avevano manifestato interesse all’incarico”.
“Il richiamato rapporto fiduciario tra la figura del segretario generale e la giunta - sottolinea il gruppo assembleare del Pd - non può sostituirsi al possesso dei requisiti legislativamente prescritti. Ciò può forse valere per un ente privato, ma non certo per un’istituzione della Repubblica, che nel rispetto dei più volte richiamati principi di legalità, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione deve osservare le norme primarie tese alla scelta dei dirigenti più meritevoli in sede concorsuale o di conferimento di incarichi”.
“Purtroppo – conclude la nota – quello a cui stiamo assistendo non è altro che un patto di potere che riduce la Regione Marche a merce di scambio, con spese tutte a carico dei cittadini. Non è infatti un mistero che Becchetti abbia sostenuto fin dall’inizio della campagna elettorale l’attuale presidente Acquaroli. Un rapporto talmente solido da consentire a Becchetti di svolgere le sue attività persino prima della nomina e fin dall’insediamento del presidente della Regione Marche, anche partecipando alle riunioni della giunta regionale e interloquendo con la struttura organizzativa, al fine di accreditare l’idea che di sicuro gli sarebbe stata formalizzata la promessa nomina e, con ciò, stroncando sul nascere le aspettative di altri dirigenti. Infine, appare illogico e irragionevole che il segretario generale, dirigente massimo della struttura e superiore gerarchico, sia culturalmente e professionalmente meno qualificato rispetto ai tanti dirigenti sotto ordinati che propone, dirige e coordina”.