Scende in Piazza del Popolo, nel cuore di Roma, il fronte del sì al Referendum sulla riforma costituzionale. “La piazza è del Popolo” è il titolo della manifestazione che si aprirà oggi nel primissimo pomeriggio e vedrà sul palco a motivare le ragioni del sì il Segretario Dem e il Presidente del Consiglio. Un sì che, sostiene Gianni Pittella, “rafforza l’Italia e le nostre posizioni in Europa”, sia sul fronte delle politiche economiche per gli investimenti e contro l’austerità sia rafforza la battaglia del gruppo parlamentare europeo di S&D (socialisti e democratici) di cui è Presidente. Lo abbiamo sentito su questi temi. Ecco le risposte che ci ha dato in quest’intervista esclusiva.
Come è visto da Bruxelles il referendum che si andrà a votare il 4 dicembre?
L’attesa è positiva. E’ chiaro che un’Italia più forte, un’Italia che riesce ad ammodernare il proprio sistema legislativo e decisionale e che continua a fare la sua opera riformatrice, piace molto e rafforza anche l’Europa stessa.
L’Europa ha anche bisogno di trovare una strada per superare la crisi che sta vivendo. E’ la battaglia che il gruppo S&D sta portando avanti insieme al Governo italiano. Il referendum incide?
Assolutamente sì, non c’è dubbio. Se l’Italia s’indebolisse attraverso una sconfitta referendaria avrebbe meno peso anche il mio gruppo politico nella battaglia per cambiare impostazione. Stiamo cercando di cambiare l’indirizzo delle politiche europee ma, per fare questo, abbiamo bisogno di un’Italia forte, di un Governo italiano che sia assolutamente rafforzato anche dal risultato del referendum. Ma non vorrei perdere di vista i contenuti del referendum.
E’ una buona riforma?
E’ una riforma che fa fare passi in avanti. Non sarà la riforma ottimale che ognuno di noi pensa nella sua testa, ma, sicuramente, è un passo significativo che si compie dopo tantissimi tentativi messi in atto, invano, in passato. I cittadini saranno chiamati a dire sì o no al superamento del bicameralismo paritario – questa idiozia tutta italiana, per cui ci sono due camere che fanno la stessa identica cosa – al superamento del Cnel e delle Provincie, al trasferimento allo Stato delle competenze su energia, turismo e infrastrutture e, fatto non irrilevante, a un risparmio di 500 mln di euro sui costi della politica.
Ha affermato che un sì al referendum ci rafforzerebbe anche in Europa. E’ di questi giorni la polemica sulla manovra e sulla lettera della Commissione Europea. Che ne pensa?
La manovra è un confronto che si realizza ogni anno. Non vedo la necessità di questo clamore, di questa tempesta in un bicchiere d’acqua. Ogni anno sono testimone e seguo questo scambio di epistole tra la Commissione europea e il Governo italiano. Ci sono richieste di chiarimento, il Governo chiarisce. Il risultato negli ultimi anni è sempre stato favorevole, non vedo quale sia il problema. D’altra parte è difficile immaginare che, di fronte alle spese che sta sostenendo il Governo italiano per difendere la frontiera esterna dell’Europa a Lampedusa o per dare conforto e sostegno alle famiglie terremotate, la Commissione europea possa dire qualcosa o mettere in discussione questi sforzi straordinari.
In casa nostra, comunque, continua la polemica sui migranti e sulla loro collocazione. Per ultimi gli episodi di Goro con le barricate. Un segnale di grande disagio non crede?
Sì, un episodio che francamente mi ha rattristato molto e mi ha lasciato basito. E’ il frutto di una propaganda continuata nel tempo. Si è bombardato il cervello delle persone insinuando piano piano l’idea che siamo alle prese con un’invasione di barbari, di terroristi, di persone che vengono a rubare il nostro lavoro. Tutto questo lo si paga con un sentimento di crescente disagio da parte dei cittadini che si sono lasciati contagiare da questa propaganda e che guardano al migrante con l’occhio dell’odio. Ciò è veramente grave, perché è l’opposto di quel sentimento che tantissimi italiani hanno – soprattutto nel mezzogiorno d’Italia – e che hanno dimostrato nell’accogliere migliaia e migliaia di rifugiati e nel salvare la vita a migliaia e migliaia di esseri umani. Non bisogna mai dimenticare che queste persone fuggono dalla guerra, dalla violenza sessuale, fuggono dalla miseria. Non dobbiamo nemmeno dimenticare il nostro passato, perché anche noi siamo stati esuli o migranti nel mondo e siamo stati accolti. Oggi chiudersi in se stessi e addirittura protestare perché arriva un pullman con una decina di persone, fra cui bambini e donne, è la cifra di un’involuzione etica che dobbiamo assolutamente combattere.
Qualche errore, però, è stato fatto…
Probabilmente l’errore commesso in questi anni è stato quello di non aver fatto una politica con l’Africa, perché è chiaro che se avessimo fatto – soprattutto attraverso l’Europa – una vera politica di partnership con l’Africa, alcuni problemi sarebbero stati risolti. Parliamo anche degli errori degli altri: se non ci fosse stata la “guerra preventiva” in Iraq da parte di Bush, non saremmo in questa situazione di caos totale nel Mediterraneo. Le cause non sono soltanto attuali, ma anche remote.
Gasparri ha dichiarato che è con chi ha protestato a Goro e dalla parte di Orban, il presidente ungherese, con la sua politica dei muri.
Gasparri esprime la Destra più retrograda e populista che ci sia. Gasparri rivendica di essere calabrese. I calabresi sono sparsi nel mondo e quando sono andati via dalla Calabria, come tanti italiani, fuggivano perché facevano la fame.
Il populismo sta contagiando tutta l’Europa: quanto è pericoloso?
Il populismo ma, soprattutto, il nazionalismo. Sta crescendo l’idea che i problemi si possano risolvere chiudendosi nelle piccole Patrie e nelle Nazioni: questo è il virus più pericoloso. Nasce dal fatto che le persone stanno male. Ci sono stati molti anni di austerità, di perdita di posti di lavoro, di dramma sociale, di emarginazione. C’è la paura dell’immigrazione, delle invasioni barbariche, del terrorismo. Non dimentichiamo questi fattori che hanno determinato nei cittadini un sentimento di paura, di chiusura.
Cosa si dovrebbe fare quindi?
Chiudendosi nelle piccole o grandi Patrie non si riescono ad affrontare le sfide che hanno una dimensione globale. La sfida al cambiamento climatico ha una dimensione globale, la sfida migratoria ha una dimensione globale, la sfida al terrorismo ha una dimensione globale.
Spiegare ai cittadini questi concetti è difficile, perché principalmente vivono questa tremenda crisi economica. La prima cosa è far stare meglio le persone: bisogna fare una politica economica che punti a creare posti di lavoro. Fino a due anni fa è stata fatta una politica – a causa dei governi di Destra e di Barroso – tutta finalizzata a risanare il debito e a chiudere gli investimenti, quindi a perdere posti di lavoro: questa è la verità. E per questo dobbiamo essere più forti in Europa per vincere la nostra battaglia.
Gianni Pittella, 58 anni, è deputato europeo dal 1999. Vicepresidente dell’Europarlamento per 5 anni e ora Presidente del gruppo parlamentare dei Socialisti e Democratici all’Europarlamento. Il gruppo S&D è l’unico che può contare su componenti che provengono da tutti i 28 Paesi dell’Unione.