Ancona - “Trecento.
Solo trecento. Sono i sopravvissuti di Auschwitz ancora in vita. I loro
volti, i loro occhi, le foto di famiglie felici – prima
dell’orrore – che tengono strette tra le mani. Le lacrime che solcano
le loro rughe e il velo nello sguardo che 70 anni di vita fuori dal
lager non è riuscito a far volare via.
Sono queste le immagini che
devono diventare il simbolo del Giorno della Memoria.
Perché lì leggiamo la vita che è proseguita, più forte di ogni
barbarie. Ma vi leggiamo ancora il dolore, lo smarrimento,
l’incredulità, le ferite dell’anima mai rimarginate.
Un monito per
tutti, un colpo allo stomaco, una botta in testa per non dimenticare
che ‘Auschwitz è
fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo’,
come scrisse Primo Levi.
Una profezia.
Perché quell’infezione continua a colpire. E ad uccidere. In forme e
intensità nuove, ancora uccide. Così, quei volti dei ‘trecento’ li
ritroviamo in quelli di migliaia di donne e uomini che, ogni giorno nel
mondo, guardano il baratro dell’aberrazione umana
dritto in faccia.
Oggi, nel 70esimo anniversario della liberazione del
campo di concentramento di Auschwitz, se stringiamo idealmente a noi
quegli ultimi sopravvissuti, lo facciamo contemporaneamente con le
vittime dell’odio, della violenza, dell’intolleranza,
dell’umiliazione, di tutti gli integralismi religiosi, politici,
sociali e culturali che continuano ad appestare l’umanità”.