E per la prima volta nella storia di un partito che si chiama Democratico c'è un contendente, escluso dalle primarie per legge del suo stesso partito, che incita a non votare: si chiama Luca Ceriscioli.
Ma è un “grillino”? chiede qualcuno. No, è incarnazione di quei comportamenti politici che alimentano il Movimento 5Stelle.
Nell'ambito dello stesso partito, ripetiamo si chiama Democratico, ci sono dunque due persone che possono diventare il metro di misura del concetto di politica a servizio della gente: da una parte troviamo Enrico Letta, che appena ieri ha dato le dimissioni da Presidente del Consiglio con una signorilità di altri tempi, e mentre si trova in questo passaggio di certo non piacevole dice: “sono sempre del Pd”.
Dall'altra Luca Ceriscioli che dovrà spiegare a molti, lui insegnante, quali lezioni di democrazia sta dando non solo agli elettori del Pd ma a tutti gli altri quando incita a non votare. Finora, quando è stato in campagna elettorale, pro domo sua, avrà senz'altro spinto nella direzione inversa per farsi votare il più possibile e far andare votare gli elettori, magari avrà anche detto a più riprese la fatidica frase “il voto è la massima espressione della Democrazia”. Oppure si sarà mostrato preoccupato nelle presenze pubbliche del problema del forte astensionismo che si sta registrando in Italia negli ultimi anni e avrà, “convintamente”, illustrato, lui sindaco già da due mandati, come cercare di invertire questa tendenza pericolosa.
Noi non lo comprendiamo, ma evidentemente è portatore di una nuova tecnica mass mediatica, forse perché forte di studi sul comportamentismo, che gli fa pensare che lanciare appelli al non voto possa far aumentare il senso di critica della gente e faccia ottenere gli effetti contrari alla richiesta … è possibile.
Una riflessione su questo comportamento porta molto in la nel tempo, nel momento in cui si doveva decidere tra Monarchia e Repubblica: sulla crescita sociale di un intero Paese.
La logica di Ceriscioli è elementare: se non sono io al centro del voto non vale la pena votare.
C'è un dibattito aperto per far votare i sedicenni, nelle primarie del Pd questo già avviene, e c'è un tizio, ancorché sindaco di Pesaro, che dà invece la massima espressione di autoreferenzialità.
Ok, il termine è politichese e lo traduciamo: esclusivo interesse personale.
E se volessimo fare un processo alle intenzioni (la Carta costituzionale ancora ce lo permette con il diritto di critica) potremmo tranquillamente dire che Luca Ceriscioli essendo al secondo e ultimo mandato da sindaco deve prepararsi il terreno per sbarchi in altri lidi, magari da parlamentare, o consigliere regionale. Essere segretario regionale del Pd potrebbe rendere più agevole queste speranze?
Immaginiamo che dopo le ultime prese di posizione più d'uno avrà fatto simili riflessioni.
Noi riteniamo ancora che votare sia la massima espressione di democrazia e vada perseguita a tutti i costi.
Svuotare questa possibilità per la quale molti hanno dato la vita è immorale.
“La differenza tra Democrazia e Dittatura è che in Democrazia prima si vota e poi si prendono ordini; in una Dittatura non c'è bisogno di sprecare il tempo andando a votare.
Charles Bukowski, Compagno di sbronze, 1972”
“Il suffragio popolare è un mito e su ciò credo che potremo essere tutti d'accordo; ma è un mito necessario ed il migliore che finora sia stato inventato.
Luigi Einaudi, Lo scrittoio del Presidente, 1956”
E se l'idea di Ceriscioli fosse quella di far contare voti in meno ci affidiamo a
“I voti si devono pesare e non contare. Friedrich Schiller, Demetrius, 1805”
Riflessioni valide anche per Matteo Ricci, Camilla Fabbri e Paolo Petrini che hanno dichiarato che non andranno a votare.