Questo è il punto, credo, per cui il nostro “partito embrionale” non ha saputo per niente rispondere agli intenti del Movimento per la Sinistra a cui abbiamo aderito, tra il 2008 e il 2009, con passione e entusiasmo.
Quella passione e entusiasmo ora si spengono.
Se SEL vuole essere un movimento d’opinione verticistico non serve la nostra militanza, basta consegnare i materiali a qualche agenzia di web-marketing.
Altrimenti, passata l’emergenza delle primarie, a cui abbiamo aderito con tutta la nostra lealtà (e con altrettanta lealtà andremo a votare Bersani; perché l’avanguardia non sia una funzione della reazione e perché il comunismo o ciò che viene non abbia nulla a che vedere con l’estremismo irrazionalistico e infantile del “tanto peggio tanto meglio”, per dirla con Lenin), ora si riprenda – molto semplicemente – il discorso per cui qualche anno fa siamo stati convocati a questo progetto: mettere una prima pietra per la costruzione di una grande casa plurale in grado di ospitare la sinistra diffusa del Duemila.
Certo: una casa “al servizio” del movimento reale, non una Federazione di micro-strutture residuali o di gruppetti rancorosi e in guerra tra di loro, come nello spettacolo annichilente che si mostra alla nostra sinistra.
Da Genova 2001 e Firenze 2002 al Referendum per i beni comuni 2011, dieci anni di formazione sentimentale e filosofica. Ma chi la traduce, questa formazione, in scuola politica? E dov’è la connessione reale con ciò che accade? Oggi, ad esempio, è possibile guardare con interesse, dalle spiagge di SEL, al mare aperto di “Cambiare si può”? Spero di sì altrimenti molti di noi ci si tufferanno direttamente, a costo di annegare.
Noi dobbiamo avere, certo, come orizzonte immediato l’alternativa al neo-liberismo (e per questo è giusto dialogare con la sinistra del PD, con Fassina e Orfini) ma anche, in prospettiva o perlomeno come utopia e motore di ricerca, un orizzonte vasto di alternativa storica al capitalismo.
Questo secondo punto di fuga non è ininfluente ma fondamentale. Dove è andato a finire? Cosa importa che Vendola lo pensi nel privato se non si organizzano scuole politiche, assemblee e workshop che distribuiscano gli strumenti per affrontare il discorso a tutti? Direi che questo è il perno centrale della discussione da svolgere, ora.
Chiaro: un’alternativa al capitalismo nuova, che non c’è mai stata. Che non abbia i vangeli di 150 anni fa sul comodino ma in biblioteca; dato che tutto è mutato, dato che il popolo delle Partite Iva e delle ditte individuali, o delle piccole imprese, rappresentano anch’esse la base dei lavoratori schiacciati dal capitale, a sua volta schiacciato dalla finanza.
Nichi, che è uno straordinario compagno-intellettuale formato dal PCI ma anche dalle eresie di Pasolini e di Francoforte, ha avuto questa scintilla geniale dell’aggiornamento totale delle istanze del comunismo al Duemila ed anche, l’intuizione che occorra formare un “nuovo omogeneo” per organizzare strategie e politiche influenti in termini di cambiamento reale delle cose, e quindi anche in termini di responsabilità di governo possibile, e non solo di testimonianza e opposizione. Fare “avanguardia” e non solo “resistenza”. Essere recepiti come il “nuovo” e non come una resistenza del “vecchio”.
Però, un attimo.
Se nel Pantheon non ci sono chiaramente Gramsci e Pasolini, e nell’utopia non c’è la liberazione dell’individuo dal giogo del ruolo sociale e del capitalismo, siamo stati convocati a un progetto che cambia gli intenti dopo che siamo entrati.