E ho deciso di rimanere nel ruolo che ricopro, fino all’ultimo momento in cui sarà possibile farlo». La buona politica, per Matteo Ricci, «non è megalomania ma fare il proprio dovere fino in fondo. Una scelta rivoluzionaria? Dovrebbe essere la normalità». Ricci resta presidente, ecco motivazioni e parole in versione integrale.
Le premesse. Marea di difficoltà. «Denunciamo da mesi che i tagli della spending review sono insostenibili e che quasi tutte le Province italiane, tra il 2012 e il 2013, rischiano di non riuscire a chiudere i bilanci per colpa dello Stato. E’ un taglio, in proporzione, 8 volte superiore a quello dei Comuni. Purtroppo, dalle ultime indiscrezioni, il governo non ha nessun tipo di intenzione di rivedere le cose. E’ una situazione pesante: riguarda tutte le Province, compresa la nostra». Non solo: «Non è ufficiale ma più che ufficioso: il ministro Patroni Griffi, dopo l’iter della discussione delle Province in ambito Cal e Regioni, tirerà dritto. L’intenzione è quella di uniformare la scadenza di tutte le amministrazioni provinciali italiane nella prossima primavera 2013, entro maggio».
Politiche 2013. Ricci continua a comporre il quadro. «Siamo davanti a una stagione di grandi cambiamenti, al di là che vinca Bersani, come spero, o Renzi. Si aprirà una fase di rinnovamento della classe dirigente. Il meccanismo non si fermerà: le elezioni nazionali, nel 2013, sono un passaggio importante. Per chi fa politica, queste premesse non lasciano certo grande spazio. Non ci sarebbe un motivo per non dimettersi e provare a giocare la partita per il parlamento. Molti presidenti lo stanno facendo, il primo a dimettersi è stato Melilli a Rieti. Altri mi hanno chiamato ieri sera: faranno la stessa cosa in giornata».
La decisione. Ricci tira diritto, nonostante le premesse: «Mi diranno che sono un fesso? Che potevo guadagnare 3 o 4 volte più di adesso da parlamentare? Non importa. E’ una sfida rischiosa, ma nella vita ci sono scelte di convenienza e scelte che uno considera giuste. Voglio dare un contributo per cambiare la politica, che deve andare oltre la convenienza. Non mi dimetto, sapendo che questo apre grandi rischi. Il primo? Il piano di salvataggio della Provincia è stato messo in campo, ma bisogna concluderlo. La scadenza del mandato poi sarà con ogni probabilità anticipata. Ma lasciare il prossimo semestre la Provincia senza un riferimento istituzionale avrebbe indebolito ulteriormente il tessuto economico e sociale in un momento particolare come questo. Per la crisi possiamo fare poco, ma quello che possiamo continueremo a farlo. Tante persone rischiano il lavoro, la propria azienda: avere un amministratore che è in sintonia con loro è un modo per camminare insieme e sostenersi a vicenda».
«Nave già salvata». Il presidente continua: «Abbiamo già salvato la nave, la Provincia non è in discussione. Anzi, se volete, abbiamo contribuito a salvare prefettura, questura, Guardia di finanza, Camera di commercio e le altre organizzazioni territoriali dello Stato. Adesso il mio compito, e quello della giunta, è portare la nave in porto, nelle condizioni migliori possibili, sapendo che le difficoltà sono tante. E’ la scelta che ho deciso di fare. Mi hanno dato tanti consigli in questi giorni, provenienti sia da chi era interessato sia da chi non lo era. Gli interessati? Otto su dieci, al mio posto, avrebbero preso la strada diversa. Ma è facile predicare bene…».
Retroscena. «Ho scelto da solo, definitivamente, venerdì scorso. Ne ho parlato esclusivamente con mia moglie. Con i vertici del partito, da Marchetti a Vimini, ho sempre avuto confronti. Sono stati figure di riferimento importanti. Ma in queste ultime giornate ho deciso io, perché il partito oggettivamente non poteva prendere una decisione: il tempo era poco, visto i termini della legge, e la discussione rischiava di essere troppo condizionata dagli interessi degli altri. E’ una scelta razionale, di cuore ma anche fatta con la testa. E’ un messaggio per il rinnovamento: questa scelta produrrà un grande cambiamento nei modi e nelle persone. Tutti dovranno finire il loro mandato. Nessuno avrà un motivo in più di quelli che avevo io per non finire. E’ anche un modo per dire che chi vuole veramente il rinnovamento, e rischia come me, farà battaglie perché non ci siano terzi mandati per nessuno. E’ giunta l’ora, da parte di alcuni, di accontentarsi un po’. Se avessi deciso per le dimissioni, correndo per le politiche, paradossalmente non ci sarebbe stato alcun rinnovamento. Anzi, solo l’effetto contrario. Questa scelta, invece, spinge per il cambiamento, spinge per la buona politica».
Primarie. «Non è che quello che pensa il partito vale per qualcuno e non per altri. Per i parlamentari, se non cambia la legge elettorale, dovremo fare le primarie come ha già spiegato il segretario Marchetti. Credo sia giusto che tutti dovranno essere messi in discussione, passando dal giudizio degli elettori, parlamentari uscenti compresi».
Roma. «Questo non vuol dire che rinuncio a giocare una partita nazionale. So che sarà dura: un conto è essere là, nel circuito mediatico centrale, altra cosa è stare in periferia. Però il rinnovamento ha bisogno degli amministratori. Oggi non c’è ruolo più giusto, per interpretare la politica come servizio, di quello dell’amministratore. Senza soldi, in trincea, in un momento in cui ci sono bisogni crescenti e risorse calanti. E spero che la mia esperienza territoriale possa rappresentare un contributo, se lo si vorrà, anche per l’evolversi della discussione politica nazionale. Lo dico anche per la città e la provincia: non penso che le cose migliori, in questo Paese, accadono a Roma o nelle grandi città. Succedono, spesso e volentieri, nelle realtà come le nostre. Ma non hanno i riflettori giusti per essere valorizzate. Rimanere a fare l’amministratore significa anche provare a cercare di accendere riflettori sul territorio. Ne abbiamo bisogno: per le infrastrutture e in termini di competitività».
«Io sindaco? Stop al dibattito». «E’ vero: molti mi chiedono di fare il sindaco. Sia dentro il partito che fuori. Ringrazio tutti, per chiunque fa politica fare il sindaco nella propria città sarebbe un grande onore. Ma è troppo presto: invito a stoppare questo dibattito. Solo chi non capisce di politica può pensare che il quadro si decida ora. Prima ci sono le primarie, poi le politiche. Chi fa ragionamenti troppo anticipati sulle amministrative rischia di prendere abbagli e di non conoscere la politica. La discussione è prematura. Non mi auto-candiderò a niente. Le auto-candidature sono i danni che ha fatto il berlusconismo. Eventualmente saranno i militanti, quando sarà ora, a dirmi se dovrò fare qualcosa».
Problemi grandi come montagne, secondo il presidente, e «una scadenza anticipata prevedibile dell’Ente. Ma questi giorni sono stati dolorosi non per le scelte da prendere: i problemi sono altri. Ho provato amarezza perché c’è stato chi ha voluto mescolare cose immescolabili. Credo nella buona politica, che non è solo cinismo. L’atteggiamento di qualcuno è stato irrispettoso, non tanto nei miei confronti ma per Massimo Vannucci e la sua famiglia. E anche politicamente poco lungimirante: chiunque ha conosciuto il partito in questi anni sapeva bene che Vannucci non avrebbe avuto alcun tipo di problema a essere di nuovo candidato. Con le primarie o senza. Aveva un consenso personale fortissimo e in tanti erano pronti a sostenere la sua candidatura perché aveva lavorato bene. Anche per questo, quando si fanno le scelte, vanno considerate solo le valutazioni sul lavoro delle persone. E dobbiamo creare un passaggio perché siano percorsi partecipati dai cittadini». Termina così: «Ho una maggioranza e un gruppo in consiglio straordinari. In questi anni mi hanno accompagnato, condividendo con me scelte difficili per risolvere problemi non creati da noi. C’è la massima compattezza».