La perdita della presidenza per il capoluogo è un fatto che addolora chi, come me, è convinta che la forza di un territorio piccolo come la nostra provincia passa attraverso l’autorevolezza e la forza propositiva del suo centro più importante, per ruolo e per storia: Ascoli; la nostra città paga il prezzo altissimo di almeno 20 anni di guida politica provincialistica, dagli orizzonti limitatissimi, che ha fatto dell’isolamento e dell’autoreferenzialità il metodo migliore per sopravvivere, per mantenere potere e controllo: il centro destra in Ascoli non ha mai cercato il confronto con le altre realtà, non ha mai rivendicato con idee e degne competenze il ruolo che spettava alla città; l’arroccarsi fintamente fiero nella propria specificità è stato perseguito con metodo per nascondere inadeguatezza e limiti culturali e amministrativi. E per mantenere più solidamente il comando sulla città. In questo Castelli è del tutto simile al suo maestro e predecessore Celani; la sua amministrazione, tanto tronfia nell’immagine quanto inconsistente nei fatti utili davvero alla città, è lì in tutta la sua pochezza, che anche in questa occasione non si è smentita; la città perde ogni giorno un po’ di terreno, dal punto di vista economico, demografico, politico.
Purtroppo all’assoluta cecità della classe politica che comanda in città fa riscontro l’insipienza di tante scelte cieche e ottuse di settori del centrosinistra della provincia.
Anche in questa occasione si è preferito giocare a braccio di ferro, a chi “comanda”, puntando sulle maggioranze numeriche per dimostrare chi è più forte; si è preferito imbastire ormai da settimane una insipiente gara Ascoli-San Benedetto, degna dei più biechi campanilismi sportivi per una Presidenza, una poltrona; senza la capacità di trovare soluzioni condivise, che dessero il senso di un territorio compatto, in grado di ricostruire un tessuto sociale cheè in difficoltà non solo in Ascoli. Avrei voluto questa intelligenza politica dal mio Partito e non è arrivata.
Sarebbe bastato un gesto di buon senso e un po’ di fantasia: alternarsi periodicamente nella Presidenza, affidare il ruolo a un sindaco di una piccola realtà, persino fare a sorte, per dimostrare – come dovrebbe essere - che si lavora insieme, e per il bene di tutti e non per le poltrone. Un gesto simbolico che avrebbe restituito, forse, un po’ di credibilità alla politica della nostra terra e forza “contrattuale” per le esigenze che si devono rappresentare. Forti anche di un consenso tra i cittadini che certo sarebbe arrivato.
Ma, del resto, come aspettarsi gesti del genere quando la storia del centrosinistra del nostro territorio testimonia che la forza di alcune piccole realtà è stata costruita da decenni sulla debolezza di Ascoli? Che la volontà di comando, anche tra autorevoli esponenti della sinistra del territorio, si è basata sul “divide et impera”, facendo in modo che Ascoli si mantenesse su quel basso profilo in cui la destra senza molti sforzi la teneva?
La storia delle ultime elezioni provinciali e comunali ascolane è ancora tragicamente attuale.
Oggi, però, le cose sono cambiate; i cittadini sono molto più attenti alle motivazioni di alcune scelte, perché stanno pagando sulla propria pelle il prezzo dell’arroganza di chi – a destra e a sinistra - ha avuto come scopo principale il comando sul territorio e per niente la sua crescita.
Come in tante altre realtà del nostro paese l’inadeguatezza della vecchia classe dirigente (dei suoi metodi, del suo linguaggio, oltre che delle persone) è la prima causa della deriva del territorio; o saremo in grado di far tornare finalmente a casa tutti i signorotti locali, incapaci di leggere il presente e sempre più chiusi nei loro piccolissimi feudi, o tutti noi saremo destinati a rimanere (ad Ascoli come a San Benedetto, in vallata come ai monti) dentro un oscuro medioevo.