E’ un fatto, tra l’altro, che conferma la validità e la bontà delle azioni poste in campo della Provincia di Ascoli Piceno, come il Consiglio interprovinciale a Civitella del Tronto, per creare quelle sinergie tra due territori che, pur divisi da confini amministrativi regionali, condividono di fatto, da sempre, le stesse problematiche ed un tessuto socio-economico comune che va valorizzato attraverso una logica di ampio respiro che non sia limitata da steccati amministrativi o burocratici.
Ritengo e, ho sempre ritenuto, che le aree di confine abbiano bisogno di una politica “speciale”, distinta da una vaga e troppo centralizzata politica regionale che rischia di essere posta in atto se le Province venissero abolite o depotenziate. E’ un tema che ho posto sul tappeto anche del recente convegno dell’UPI sul destino istituzionale delle Province, dove si è anche parlato del nuovo Codice delle Autonomie che prevede convenzioni tra Province appartenenti allo stesso ambito regionale. Ebbene, ho proposto di ampliare la possibilità di stipulare convenzioni anche tra Province di diverse Regioni pur rispettando naturalmente i confini amministrativi. Ciò perché le zone di confine come il Piceno, ma il discorso vale anche per molte altre realtà della penisola, hanno con altri contesti territoriali limitrofi, relazioni profonde sedimentate dalla storia, dalla posizione geografica e dai flussi socio-economici, relazioni che non possono essere ignorate e confuse in un nuovo e miope centralismo regionale.
L’Italia è fatta dai Comuni ma anche dalle Province che, dalla storia pre-unitaria, accompagnano e fanno parte integrante dell’assetto e dell’identità profonda del territorio svolgendo per la collettività funzioni e compiti essenziali. In questa prospettiva, auspico che i disegni del futuro assetto del Paese tengano conto di questo patrimonio e trovino le forme più idonee per cambiare nel solco dell’art. 5 della Costituzione che ha dato compimento al decentramento amministrativo nel nome della sussidiarietà e della pari dignità degli enti locali. Altrimenti si rischierebbe di cadere in nuove forme di centralismo, magari di carattere regionale anziché statale, ma con esiti altrettanto dannosi se non forse peggiori dal punto di vista della governance del territorio, soprattutto se questo è di confine come il nostro.