25 sono i dimostranti uccisi ieri a Daraa nel sud della Siria da forze governative di Damasco, e proprio a Daraa,capoluogo della depressa regione agricola dell’Hawran,è deflagrato a metà marzo il dissenso contro il governo. Gli incidenti sono scoppiati dopo che alcuni bambini, appartenenti ad una influente tribù locale, si sono resi “colpevoli” di aver scritto sui muri scolastici slogan anti-regime. Arrestati, sono stati trasferiti a Damasco nonostante alcuni capi tribù avessero chiesto ad un responsabile della polizia segreta locale di mediare per una loro liberazione.
La popolazione di Daraa si è quindi sollevata attaccando i simboli del potere “corrotto ed oppressivo”. In dieci giorni di violenze 130 persone sono state uccise nell’Hawraan ed è stata la scintilla che ha fatto sollevare le città periferiche di Homs,Hama,Dayr el Zor, il porto di Latakia e molti sobborghi di Damasco.
Le proteste hanno cause profonde e radicate. La società siriana è percorsa da anni da un generale e diffuso senso di sfiducia nelle autorità e nella loro reale volontà di riformare il “sistema”,a questo si aggiunge un profondo sentimento di frustrazione e rabbia per decenni di dura repressione di ogni forma di libera espressione politica,per l’arroganza del potere.
Ogni regione siriana ha una propria lista di rivendicazioni che vanno dall’aumento vertiginoso del costo della vita all’assenza del sostegno statale, passando per la crescente disoccupazione giovanile,l’ormai endemica corruzione e l’assenza di trasparenza nella gestione degli affari locali.
Le riforme annunciate dai rappresentanti del regime di Damasco sembrano espedienti per prender tempo. L’abrogazione della legge di emergenza in vigore da 48 anni che prevede la possibilità per le autorità di fermare,a tempo indeterminato, cittadini sospetti dissidenti e di accusarli di reati come “attentato alla sicurezza dello stato” o “contatti con paesi stranieri nemici” o “diffusione di informazioni false” è stato una dei motivi principali delle proteste.
Ieri l’agenzia ufficiale Sana ha reso noto che giovedì 21 aprile il presidente Assad ha abolito il contestato stato di emergenza in vigore dal 1963 anno in cui il partito Baath era salito al potere.
Nonostante il regime di Damasco stia tentando la via delle riforme “di facciata”cercando di dare l’impressione all’estero di essere davvero impegnato a soddisfare le richieste legittime dei cittadini, quattro Paesi della UE, Gran Bretagna, Francia,Germania e Portogallo, facenti parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU,stanno facendo circolare una bozza di dichiarazione di condanna della repressione attuata dalla Siria contro i manifestanti. La Russia e La Cina non sembrano però disposte ad appoggiare il documento.
Il Presidente francese Sarkozy, al termine dell’incontro bilaterale Italia Francia svoltosi ieri martedì 26 aprile a Roma ha detto che un intervento armato in Siria, come avvenuto in Libia,è possibile solo con una risoluzione ONU.
Resta il fatto che ora in Siria si potrebbe sviluppare una prolungata guerra intestina con scontri a sfondo interconfessionale.
La comunità alawita di cui fa parte il “giovane” presidente Bashar, sarebbe posta di fronte al dilemma se arroccarsi a difesa del clan di regime oppure schierarsi con la maggioranza degli insorti sunniti.