dell'assemblea provinciale del 16 luglio. Il testo del documento: «Caro segretario, in relazione alla Assemblea Provinciale del 10 luglio scorso, prendiamo atto che a circa un mese dalle elezioni, pur di fronte all'indignazione dei cittadini e di molti iscritti al nostro partito, il gruppo dirigente provinciale non ha ancora trovato una ragione per mettersi in discussione e rassegnare, almeno come gesto dovuto, le proprie dimissioni.
Riteniamo che perseverare in tale comportamento purtroppo rischia di essere esiziale (rovinoso, funesto, ndr) per il Pd, il Centrosinistra e per le sorti della Regione il prossimo anno. In previsione dell'Assemblea Provinciale del 16 luglio, rinnoviamo a te ed al gruppo dirigente provinciale l'invito ad una piena assunzione di responsabilità evitando qualunque tentazione di autoconservazione che rischia davvero di compromettere definitivamente il progetto del Partito Democratico nel nostro territorio con esiti facilmente prevedibili». E Gionni comunica alla stampa che nessuno ha chiesto le sue dimissioni.
Dunque ha considerato questo documento carta straccia. Una rappresentanza dei firmatari di questo documento hanno indetto una conferenza stampa per far comprendere la reale situazione che si è verificata nell'assemblea provinciale del 16 luglio 2009. E Canzian ribadisce i timori per i danni che ancora una gestione chiusa del Pd provinciale può arrecare al Partito Democratico che va verso il congresso.
«E' evidente - dice Antonio Canzian – l'assoluta necessità di rilanciare l'immagine del Pd provinciale anche in vista del congresso.
L'immagine di un partito chiuso, impermeabile al contributo dei cittadini, l'immagine di un partito che svolge la propria assemblea provinciale con la presenza all'esterno della Digos , che affigge un cartello con su scritto “possono partecipare all'assemblea provinciale solo gli aventi diritto” serve solo a drammatizzare un confronto anche aspro, ma assolutamente civile e sopratutto non rinviabile.
Dopo la sconfitta alle elezioni provinciali, il gruppo dirigente non ha trovato una, dico almeno una, ragione per mettersi in discussione e per rimettere all'assemblea, almeno come atto dovuto, le proprie dimissioni. Anzi, il consigliere provinciale Lucio D'Angelo ha definito “una mascalzonata” tale richiesta. Di mascalzonate non mi intendo, ma certo questo atteggiamento e questo linguaggio confermano una chiusura ed una autoreferenzialità molto preoccupanti. Io credo che coloro che hanno a cuore il futuro del Pd nel nostro territorio debbano avere due obiettivi:
1)Ritessere da subito i rapporti con gli altri partiti del centrosinistra, ricominciare ad ascoltare quel popolo di centrosinistra oggi deluso, confuso e nello stesso tempo indignato. Ricostruire le condizioni politiche e programmatiche per un centrosinistra unito nella nostra provincia, condizione indispensabile per consolidare l'azione amministrativa nei Comuni da noi governati, a partire da San Benedetto, e prepararsi ad affrontare le prossime scadenze elettorali.
2)Chiedere un segnale forte di apertura da parte del Segretario provinciale che prenda atto che qualcosa di politicamente serio è accaduto il 21 giugno e che è impensabile non riconoscere la assoluta necessità di una gestione unitaria del partito come tangibile dimostrazione della volontà di superare gli errori compiuti».
E Claudio Benigni ha voluto ribadire alcuni punti salienti. «A un mese dalla sconfitta elettorale – dice Benigni – si deve dire che si sapeva che la scelta fatta dal Pd avrebbe portato alla disfatta.
Di questa scelta ci sentiamo tutti responsabili, ma non tutti colpevoli allo stesso modo. Non sono un tagliatore di teste, ma mi chiedo: il rinnovamento consiste nel lasciare tutto come sta?
Consiste nell'attaccare il presidente della Regione Gian Mario Spacca? Si tratta di atteggiamenti non condivisibili e fuori luogo. Basta con i veleni tra Ds e Margherita, ci sono i problemi del Paese da risolvere. Nel Pd non abbiamo bisogno di un “capo” ma di una squadra.
Qualcuno si deve fare da parte. Lo chiedono i cittadini. Ci vuole un patto generazionale per aiutare i dirigenti nel territorio. Occorre una nuova classe dirigente».
Per Stefano Corradetti «quando c'è distacco della classe dirigente dalla realtà, oppure una situazione organizzativa interna che tende a conservare situazioni personali più che all'interesse generale del Pd, la risposta non può essere che ci vuole un'inversione di rotta. C'è l'esigenza di arrivare ad una gestione unitaria e le dimissioni di Gionni potevano essere uno strumento.
Aspettiamo segnali, se non accadrà noi continueremo fino in fondo la nostra battaglia». I firmatari del documento che non è stato discusso e messo ai voti si chiedono: è possibile che è come non fosse successo niente?
Giuseppe Cappelli ci tiene a dire che questi 12 consiglieri comunali di Ascoli e San Benedetto non sono una corrente. «Si continua con gli stessi vizi: le tessere – dice Cappelli – e gli elettori? Contro il fascino del partito della vallata che rappresenta una variate pericolosa, Ascoli e San Benedetto ridotti a feudi, occorre un contrappeso democratico.
Ci vuole un partito aperto dove gli elettori possano contare. Senza padroni che fanno relazioni di un'ora, un'atmosfera brezneviana, tutti connotati di un partito vecchio nei modi di fare. A San Benedetto non è stata fatta alcuna assemblea degli iscritti.
Ci vuole serietà che innanzitutto richiede l'ascolto degli elettori. La classe dirigente deve andare a casa altrimenti la società civile si arrabbierà sempre di più e ci saranno sempre più esuli, cioè li astenuti dal voto, gli umiliati».