2. L'associazione “A sinistra”, che raccoglie quanti si sono impegnati per far nascere anche nelle Marche il partito democratico pur essendo essi in forte disaccordo con le modalità seguite dai gruppi dirigenti nazionali dei Ds e della Margherita nell'impostare la fusione a freddo dei due ex partiti, evitando di affrontare le questioni della collocazione internazionale, del pluralismo interno, delle alleanze, del federalismo del nuovo partito e dei rischi di cesarismo, anche in sede locale, oggi ritengono colma la misura e chiedono discontinuità e un nuovo inizio a partire dal territorio e dagli impianti marchigiani del nuovo partito democratico.
Pertanto ritengono urgentissima la convocazione dell'assemblea costituente marchigiana, dell'esistenza della quale si è perduta la memoria, per colmare il vuoto di direzione e di confronto politico che rende difficile fare politica oggi nelle Marche a chi non sia consigliere regionale, provinciale o comunale, e anche in quei casi riduce tutto a confronti tra persone senza che le scelte da compiere passino all'interno di organismi provinciali o regionali.
3. Il caso della mancata redazione della carta fondamentale del nuovo partito democratico marchigiano da parte della commissione appositamente eletta dalla costituente regionale, e il caso della fragilità della bozza di statuto regionale che sta avviando il suo percorso di consultazione all'interno del partito sono pesanti ed evidenti conseguenze della mancanza assoluta di direzione collegiale del partito democratico marchigiano.
Nella bozza di statuto regionale è infatti assente la rivendicazione di una autonoma collocazione delle Marche e dei marchigiani impegnati nella costruzione del partito democratico rispetto ai limiti dello statuto nazionale. Non si fa cenno alla necessità di una redistribuzione dei fondi nazionali anche nelle casse già esauste dei partiti regionali, e non sono sufficientemente valorizzati i punti di novità che hanno segnato la nascita del nuovo partito.
L'obbligatorietà della fine dei mandati elettivi dopo due volte, viene sfumata con l'introduzione di eccezioni abbondanti. E lo stesso principio per le cariche direttive di partito si perde in confuse procedure che tendono a conservare gli antichi difetti senza normare rigidamente il nuovo.
La selezione delle candidature viene affidata solo in parte al metodo delle primarie, e l'elezione diretta dei coordinatori e dei segretari non favorisce il pluralismo interno ma lo scoraggia, con procedure legate a eccessive quantità di firme di presentazione che favoriscono una gestione totalizzante da parte delle maggioranze uscenti.
4. Se ci fossero le condizioni minime per una discussione serena degli emendamenti alla bozza di statuto regionale in questa fase dell'avvio del dibattito sarebbe possibile presentare numerosi emendamenti allo scopo di rendere il futuro partito democratico marchigiano davvero pluralista al suo interno e veramente nuovo nelle sue regole.
Nella situazione concreta che vivono le Marche appare più realistico porre questi problemi (ed altri analoghi, nonché la questione dei contenuti della carta fondamentale e quella della composizione dell'organismo esecutivo) come questione pregiudiziale all'avvio della discussione sugli emendamenti, che rischierebbero di essere tutti respinti in assenza di un preventivo accordo politico tra minoranze e maggioranza interna.
Se, in presenza di opinioni divergenti su questioni molto rilevanti, ci si limitasse ad usare la forza delle percentuali delle singole liste che si sono presentate nelle primarie che hanno eletto Sara Giannini, si creerebbero solo le condizioni per l'emarginazione di ogni minoranza oggi esistente, e di ogni minoranza immaginabile in futuro.
E' quindi evidente che l'intera discussione che oggi si apre sull'articolato dello statuto marchigiano dovrebbe essere preceduta da un accordo sul rispetto delle minoranze e sulle modalità di introduzione di modifiche statutarie sulla base delle esigenze del pluralismo interno e non sulla base del semplice principio maggioritario.