«Il disagio che viene dalle fabbriche resta profondo»
non è inutile riflettere sul referendum sindacale svoltosi due settimane fa. Com’è noto, su una scheda unica bisognava esprimere il parere su tre distinte questioni oggetto dell’accordo sindacati-governo, cioè pensioni, welfare e ammortizzatori sociali. Epifani aveva a suo tempo giustamente firmato gli accordi con riserva chiedendo che il referendum si svolgesse sui tre distinti argomenti. Com’è noto Prodi rispose negativamente a tale proposta: o tutto o niente. L’esercizio della democrazia sindacale non è certamente né semplice, né facile, e aver portato 5 milioni di cittadini - fra lavoratori e pensionati al voto va indubbiamente a merito dei sindacati. Ciò non significa tuttavia che tutti i problemi siano risolti e che non esistono elementi di criticità sui quali pacatamente, ma onestamente discutere, cominciando dalle modalità delle assemblee. 1. I fautori del “no” non erano presenti se non in numero limitatissimo di incontri giustificato dal fatto che a livello ufficiale era passato il “sì” e quindi per una sorte di “centralismo democratico” (così criticato quando era praticato dal PCI!) il “NO” non doveva necessariamente partecipare agli incontri. Ciò ha ridotto oggettivamente la conoscenza delle posizioni in campo su una materia per sua natura complessa e, di conseguenza, il livello di consapevolezza del voto espresso. Tra l’altro è stato lo stesso Epifani a riconoscere che questa volta i giorni per l’informazione erano la metà di quelli del precedente referendum sindacale. 2.Inoltre sono stati fatti votare, senza attendere la specifiche assemblee, quei cittadini che si recavano alla C.d.L. per questioni personali. Ovviamente il voto suggerito era sempre favorevole all’accordo. 3.Infine la politicizzazione del referendum a cominciare proprio da Epifani, che ha dichiarato “Se vince il NO cade il governo”, introducendo così un elemento del tutto spurio (non si trattava di un referendum sul governo Prodi!), ma finalizzato ad utilizzare lo spauracchio del ritorno immediato di Berlusconi per ottenere un “sì” politico. 4.Se poi consideriamo che con “l’operazione Partito Democratico” alcuni sindacalisti ai vertici della CGIL, come è accaduto nella nostra provincia, sono entrati – e non certo per fare tappezzeria – nelle liste veltroniane, ne deriva un’ulteriore spinta al Sì per motivi chiaramente politici. Pensare che adesso, dopo la vittoria del “sì”, lo “spettro Berlusconi” sia stato scacciato per sempre è pura fantasia. I sondaggi, compreso l’ultimo del 22/10/07, lo danno da diversi mesi stabilmente sul 53-55% dei consensi. Il disagio intatto che viene dalle fabbriche, non solo in quelle dove ha vinto il “NO”, resta profondo, così come resta fra i giovani precari e fra i tanti pensionati con la minima che non arrivano alla quarta settimana. Le amministrative della scorsa primavera avevano già dimostrato che non aveva tanto vinto il centro-destra quanto che aveva perso il centro-sinistra a causa della non partecipazione al voto di troppi suoi elettori sia del P.D. che della sinistra radicale. Da allora il rapporto di sfiducia non è stato ancora annullato e sarebbe fuorviante pensare che i risultati del referendum sindacale (o della partecipazione alla scelta dei dirigenti del P.D.), con tutti i limiti sopra esposti, siano in grado di rafforzare il governo Prodi recuperando al voto anche gli elettori del centro-sinistra che si aspettavano di più e, soprattutto, scelte diverse dal governo “amico”. Ecco perché la prossima Finanziaria assumerà un ruolo fondamentale a tale fine».