L’Italia – dice Roubini – con il debito pubblico al 120 per cento del pil, i tassi d’interesse che superano il cinque per cento e con una crescita inesistente, avrebbe bisogno oggi di un avanzo primario di oltre il cinque per cento del pil per stabilizzare il suo debito. E’ prevedibile che fra non molto i tassi di interesse reali aumenteranno e la crescita sarà negativa. A ciò si aggiunge che la Banca Centrale Europea e la Germania stanno imponendo al Paese una austerità che trasformerà la recessione in depressione. In questi ultimi giorni i mercati hanno dato poco peso alla nascita del nuovo governo Monti ed hanno spinto gli spread italiani a livelli elevati. Secondo l’economista l’unico modo per uscirne è ridurre il debito pubblico dell’Italia portandolo al 90 per cento del pil dall’attuale 120 per cento. Come? Offrendo agli investitori la possibilità di scambiare i loro titoli o con una obbligazione alla pari con scadenza più lunga e cedola bassa così da ridurre il valore attuale netto al 25 per cento. Una obbligazione alla pari andrebbe bene alle banche, che trattengono i titoli fino alla scadenza e non seguono il mercato. Inoltre – prosegue Roubini –bisognerebbe impegnarsi a non pagare gli investitori che si ostinano a non partecipare all’offerta anche se ciò innesca il pagamento del “credit default swap”.La ristrutturazione del debito sarebbe quindi da preferire alla patrimoniale proposta da alcuni politici per raccogliere fondi necessari al risanamento.
Per portare il rapporto debito-pil al 90 per cento, la patrimoniale dovrebbe fruttare, secondo stime, 450 miliardi di euro – il 30 per cento del pil - . Ammesso che il pagamento di questa imposta fosse spalmato su dieci anni, l’aumento delle tasse sarebbe pari al tre per cento del pil per dieci anni di fila, con il conseguente calo di reddito per i cittadini. La ristrutturazione del debito resta comunque una opzione preferibile, perché in questo modo la pressione sarebbe condivisa con gli investitori stranieri che detengono ben il 40 per cento del debito e colpirebbe di meno i consumi e la crescita del Paese.