La rivoluzione dei governi in Europa

La rivoluzione dei governi in Europa

Il giornale riporta anche la notizia che un fedelissimo della cancelliera Angela Merkel ha dichiarato con enfasi “adesso finalmente si parlerà tedesco in Europa”. Con queste parole non si riferiva al tentativo di rendere il tedesco la lingua corrente a Bruxelles ma intendeva il diktat della Germania sulla stabilità europea che potrebbe tradursi in una politica di austerità per tutti i cittadini. L’Europa è terrorizzata dallo strapotere tedesco – continua il Berliner Zeitung – ed i tedeschi non ci vedono nulla di male. Dopo la catastrofica politica egemone di Otto von Bismarck, di Guglielmo II e di Adolf Hitler in Europa, la Repubblica Federale ha sempre perseguito l’obiettivo di un rientro nella comunità internazionale. Helmut Kohl quando era presidente disse: ”Non vogliamo un’Europa tedesca, piuttosto una Germania europea” e a tal fine ha sacrificato il marco tedesco, l’amato simbolo del miracolo del dopoguerra. L’imposizione ai paesi del sud dell’eurozona – Spagna, Italia, Grecia, Portogallo – della politica del risparmio escogitata da Berlino attraverso i governi tecnici,peraltro commissariati, non appare a tanti cittadini  come una scelta democratica. Angela Merkel  non ha certo scelto questo ruolo,ma è la forza economica della Germania ottenuta attraverso un euro competitivo a costringerla a svolgere questa leadership in funzione dei suoi interessi. Ora la Francia segue la via tedesca verso un’Europa centralizzata valida solo per i paesi forti dell’euro. Ciò che sta accadendo oggi con la neutralizzazione della democrazia parlamentare,l’istituzionalizzazione dei controlli sul bilancio e sulla fiscalità da parte della UE, costituisce una vera e propria rivoluzione. Le sanzioni paventate dal direttorio franco-tedesco, nei confronti degli stati che non rispetteranno il rigore, avranno soltanto un ruolo marginale in quanto l’ostacolo  più difficile da superare sarà rappresentato dall’opinione pubblica. Le trasformazioni in atto devono avere necessariamente una legittimazione popolare per la modifica dei trattati .Una qualsiasi consultazione popolare porterebbe con sé la possibilità che l’elettorato si schieri contro, a quel punto alla crisi strategica si aggiungerebbe una crisi di rappresentatività europea che in un certo senso è già in atto.

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