Fassino e l'altalena del Pd sulle alleanze

Fassino e l'altalena del Pd sulle alleanze

L'esponente del Pd non conosce la faida tra l'on. Agostini e il presidente della Provincia Rossi

PIERO FASSINO, MAURO GIONNI E ANNA CASINIDa una parte Fassino dice che occorre consolidare le alleanze con esperienze positive dove ci sono state. Fa l'esempio di Torino dove a far svolgere primarie su Chiamparino «saremmo sembrati strani» e allora uno potrebbe pensare che questa regola dovrebbe valere anche per la candidatura alla Provincia di Ascoli. Poi però condiziona il fatto ai nuovi accordi elettorali e all'autonomia delle scelte dei dirigenti del Pd locale. Così per fare il mestiere della massima trasparenza chiediamo all'on. Fassino se pure per la Provincia di Ascoli vale la regola torinista, facendo presente però che da mesi, anzi strisciante fin dalla prima ipotesi di candidatura, è in atto una faida tra l'on. Luciano Agostini, una parte del Pd, e il presidente rifondarolo Massimo Rossi, l'unico ad amministrare una Provincia in Italia per i comunisti. Scopriamo così che il leader del Pd non conosce cosa accade nel Piceno. «Sa – risponde Fassino – io della situazione provinciale non conosco niente. Sono gli organismi territoriali che dovranno decidere». Dunque a Roma dei fatti ascolani non sanno nulla, Fassino l'apprende casualmente oggi da giornalisti e non dal suo Pd locale che decide tutto in casa, anche i panni da lavare, più o meno grigi che siano. Fassino però una cosa la dice chiara: «Puntiamo ad una convergenza con l'Udc a livello nazionale visto che insieme all'Italia dei Valori è opposizione in parlamento, poi a livello locale le possibilità sono altre». E quello che suona strano è il vanto anacronistico del consenso ottenuto a livello nazionale dopo le ultime elezioni perse: «Abbiamo un consenso del 33% , abbiamo contribuito a ridurre i partiti in parlamento da 39 a 7. Siamo tra le prime forze riformiste in Europa». Era automatico chiedergli se non avesse valutato l'apporto del “voto utile” anti Berlusconi che è andato a formare quel 33%. E se ritenesse che alle amministrative quel consenso sarebbe rimasto tale o quei voti da sinistra radicale sarebbero tornati a casa propria. La risposta è ancora una non risposta. Una sorta di visione “drogata” della realtà elettorale italiana. Per Fassino e per il Pd evidentemente non esistono più in questo Paese voti alla sinistra radicale.