Morire di lavoro

Morire di lavoro

Sono di chi ha deciso, per la prima volta nella storia repubblicana, di concedere l’indulto anche a chi si è macchiato del reato di procurata morte sul lavoro.
Sono di chi pensa che le sanzioni non servano.
Sono di chi pensa che sulle “morti bianche” vi sia un’esasperazione mediatica.
Sono di chi ha una concezione quantomeno curiosa, stravagante della sicurezza: “tolleranza zero” per i reati contro la sicurezza delle persone fino ai “cancelli” delle fabbriche, dei magazzini, delle scuole, degli uffici. Lì ci si ferma.
E’ come se quei “cancelli” dividessero i mondi, le esistenze nell’era in cui il tempo di lavoro inghiotte ogni tempo di vita. “Tolleranza zero”, comprensibile, giusta verso chi commette reati fuori dai luoghi di lavoro; tolleranza incomprensibile, ingiusta e smisurata verso i reati, fino alla morte procurata, nei luoghi di lavoro.
Non è una schizofrenia; è il riflesso condizionato di una realtà in cui alla centralità dell’impresa e del profitto fa da contraltare una condizione esistenziale dei lavoratori segnata, per gran parte, dalla solitudine. Solitudine verso rischi che, al contrario della tolleranza, non si fermano ai cancelli delle fabbriche, che attraversano l’esistenza delle persone in una dimensione sempre più individuale e sempre meno collettiva.
I rischi di chi è precario e più solo, di chi è “obbligato” allo straordinario per arrivare a fine mese, di chi a 65 anni “deve” salire su un ponteggio o di chi a 18 “deve” lavorare in un’impresa dei sub-appalti e magari entrare nello scafo di una nave senza conoscere nulla di ciò che ha preceduto e seguirà la sua prestazione lavorativa.
Sono responsabilità di tutti, anche del sindacato; nessuno si chiami fuori o cerchi rifugio in un silenzio assordante. Quello ad esempio di tanti intellettuali,di tanti osservatori interessati più alla dimensione mediatica di questi processi piuttosto che ad aiutare una riflessione di fondo su come arginare la frammentazione del lavoro, la frammentazione sociale; su come ridare rappresentanza collettiva a soggetti ed interessi che, nel loro divaricarsi o nel loro confondersi, producono simili tragedie.
Recentemente uno studioso acuto come Antonio Cantaro, ha indicato nella necessità di “risacralizzare” il lavoro, il compito fondamentale del sindacato. Rifletterci dopo una giornata che ci consegna nove morti sul lavoro è ancora più pesante di ieri, ma non ci si può rassegnare.
Soltanto pochi giorni fa abbiamo siglato un primo accordo per applicare nelle Marche gli obiettivi di prevenzione previsti dal Piano sanitario; soltanto pochi giorni fa abbiamo siglato l’accordo per la costruzione in sicurezza delle grandi opere, soltanto qualche settimana fa abbiamo rafforzato la dimensione e i contenuti della sicurezza nei processi formativi.
Non basta. Occorre davvero una strumentazione che consenta di uscire da una logica puramente emergenziale. Dall’applicazione integrale del Testo Unico al funzionamento degli organismi bilaterali, dalle funzioni ispettive a quelle di studio e di trasformazione dell’organizzazione dei cicli produttivi e del lavoro, dalla formazione all’informazione alle nuove tecnologie per la sicurezza.
Aspetti strutturali, di fondo, di medio periodo, ma cominciamo. Tutti, non basta il Presidente della Repubblica.

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