Intanto secondo Reporter sans frontiers lItalia è al 40 posto per libertà di stampa
Il copione è andato in scena per i minuetti telefonici D’alema-Consorte, Mastella-Saladino e Berlusconi-Saccà. Peccato che il “segreto istruttorio” sia stato abolito nel 1989, con l’entrata in vigore del Codice di procedura penale “Vassalli”. Delle due l’una: o i politici ignorano le leggi dello Stato, o mentono sapendo di mentire. Due buoni motivi per cambiare mestiere. Nel Codice “Vassalli” il “segreto istruttorio” lascia il posto al “segreto investigativo”. La differenza è sostanziale.
Il “segreto istruttorio” tutelava la privacy dell’inquisito, impedendo la pubblicazione degli atti d’indagine fino alla chiusura dell’istruttoria. Il segreto investigativo invece serve a garantire il successo delle indagini. A questo scopo, è necessario che l’indagato non sappia di essere sotto la lente della magistratura. Se i giornalisti spifferassero il contenuto delle intercettazioni ad istruttoria in corso, l’inquisito non parlerebbe più al telefono e le indagini salterebbero.
Prove e indizi quindi restano secretati finché l’indagato n’è all’oscuro. E’ il Pm a stabilire quando l’inquisito può essere messo a parte delle indagini. Ciò può avvenire con un ordine di custodia cautelare, con un invito a comparire per un interrogatorio, con un mandato di perquisizione, con un’ordinanza di sequestro di un bene, oppure con l’avviso di garanzia per la notifica dell’accusa. In tutti questi casi il Pm comunica all’interessato di essere sotto inchiesta. Il “segreto investigativo” decade e gli atti d’indagine diventano pubblici.
La telefonata Berlusconi-Saccà, ad esempio, appare sull’Espresso ad istruttoria chiusa, quando la procura di Napoli ha già messo il fascicolo a disposizione delle parti. Idem per le intercettazioni tra la Bergamini e i dirigenti Mediaset, pizzicati a concordare palinsesti e informazione. Nessuna violazione del “segreto investigativo”, quindi. E tantomeno del “segreto istruttorio”, abrogato 20 anni fa.
E’ stata forse lesa la privacy? Assolutamente no. Per le autorità pubbliche, il diritto alla riservatezza si assottiglia e il diritto di cronaca prevale. Un onorevole beccato a raccomandare veline non può invocare la violazione della privacy, perché verrebbe meno il diritto di 60 milioni di italiani ad essere informati. L’elettore dell’onorevole in questione, infatti, potrebbe anche decidere di non rivotarlo, visto che passa il tempo a piazzare attrici in Rai. Se poi l’attrice è parente di un senatore della maggioranza in predicato di passare all’opposizione, aleggia pure l’ombra della corruzione.
Qualcuno obietterà: per mettere sotto controllo il telefono di un parlamentare serve l’autorizzazione delle Camere. Vero. Ma se il parlamentare s’intrattiene con inquisiti intercettati i guai sono suoi. Si scegliesse compagnie migliori. Questo vale per D’alema-Consorte, Mastella-Saladino e Berlusconi-Saccà.
Ma invece di evitare “liaison dangereuses”, i partiti invocano il Ddl Mastella sulle intercettazioni, che mette il bavaglio ai giornalisti vietando la pubblicazione degli atti d’indagine non più coperti da “segreto investigativo”. Secondo Reporter sans frontiers l’Italia è al 40 posto per libertà di stampa. Freedom house ci dà al 79 posto. Con Mastella sì che risaliremo la china.