Vai a fare il muratore”. Un tempo, neanche tanto lontano si diceva così. E questo voleva dire, nell’espressione popolare ma anche nella sostanza della vita quotidiana: vai a fare questo lavoro perché altro non c’è. Perché fare il muratore era semplice. Faticoso sì, ma semplice. E così facendo almeno uno stipendio discreto si portava a casa. Oggi questa espressione sembra lontana anni luce. Il mercato del settore edile è infatti diventato uno fra i più complessi e difficili.
I dati – a fronte di questa considerazione oggettiva - ci dicono che nel 1997 nelle Marche c’erano poco meno di 15.000 imprese che lavoravano nel settore dell’edilizia. A febbraio del 2007 questo numero è cresciuto esponenzialmente fino a sfiorare quota 22.000 imprese attive. E Ancora: sia a livello nazionale che nelle Marche, il saldo fra imprese che iniziano l’attività e imprese che chiudono i battenti è positivo. Ma al contempo il tasso di mortalità aziendale resta altissimo. Molti chiudono, quindi. E molti altri aprono un’attività. E proprio nel settore dell’edilizia che non caso è quello che, almeno da tre anni a questa parte, sta registrando un vero e proprio boom di inizio attività.
Questo boom è spesso di difficile controllo e pone nuovi e più complessi problemi anche sul fronte della sicurezza. I dati degli incidenti nell’edilizia hanno avuto un’impennata a livello nazionale dopo anni, dal 2001 al 2004, nei quali avevano fatto registrare un rassicurante decremento. L’impennata non c’è stata invece nelle Marche. Ma non è un caso. Perché nelle Marche – secondo i dati dell’Istat - quello dell’edilizia è il comparto che presenta il più basso livello di presenze di lavoratori in nero (e non va tralasciato che spesso il lavoro nero è affidato ad extracomunitari.): il 2,6 per cento, contro il 2,7 per cento dell’industria, il 14,3 dei servizi e il 28,5 per cento dell’agricoltura. Sempre l’Istat ci dice, a tale proposito, che quasi la metà degli immigrati ha avuto un incidente sul lavoro e questo, nel 38,5 per cento dei casi, non è stato denunciato.
Su quest’ultimo punto vale la pena fare una riflessione: l’alto tasso di disinformazione spesso è legato anche a un altrettanto alto tasso di non comprensione della nostra lingua.
La situazione sicurezza nelle Marche è dunque migliore rispetto alla media nazionale perché qui è ancora forte il concetto che un’impresa non si può improvvisare. Ma i rischi sono lo stesso alti e le previsioni per il futuro meritano attenzione e un monitoraggio continuo. Attenzione che significa, per tutte le istituzione e per noi, ovvero le associazioni di categoria, affrontare il problema sicurezza fornendo agli artigiani quante più informazioni possibile riguardo strumenti di conoscenza e di prevenzione degli infortuni.
L’isola, in parte felice, chiamata Marche ancora resiste. Ma scricchiola. Altri dati significativi: il 59,3 per cento degli operai marchigiani – rileva sempre l’Istat – hanno frequentato un corso di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Percentuale che scende al 31,1 per cento se si parla di operai immigrati. E che scende ancora (25 per cento) se si parla di operai immigrati che lavorano per imprese che vengono da fuori della nostra Regione.
Imprenditoria “improvvisata” e lavoro nero sono due ingredienti micidiali per il cocktail che porta diritti alla crescita esponenziale del rischio incidenti sul lavoro. Prevenire vuol dire individuare strumenti che per essere efficaci devono essere anche “agevoli”. Un imperativo per le nostre piccole imprese stritolate dalla burocrazia e dai suoi gravosissimi oneri. Nessuno sconto, niente scorciatoie: meno che mai quando si parla di vite umane da salvare. Ma neanche provvedimenti “spot” che offendono chi rispetta le regole e non incidono realmente nei confronti di chi in regola non è. E’ nostro compito accompagnare le imprese in un cammino di crescita: di cultura imprenditoriale e di cultura della legalità.
Prevenire più che reprimere, ribadisco. Fermo restando che chi non è in regola deve essere sanzionato. Ma senza dimenticare che oggi per un imprenditore è diventato estremamente difficile – e non si dica che è una puerile scusa - districarsi in una vera e propria giungla burocratica fatta di permessi, attestati e certificati.
E se c’è chi non è ancora convito che questa non sia una scusa per essere autorizzati a fare i propri comodi, un numero su tutti: l’inizio attività per un costruttore edile è fatto da 83 adempimenti burocratici. Così suddivisi: 4 amministrativi, 6 di urbanistica e per altri requisiti locali; 3 di autorizzazioni per licenze e concessioni; 1 per l’Iva; 2 per l’Inail; 1 per l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane; 2 per il registro delle imprese; 1 per la previdenza; 1 per adempimenti ambiente e sicurezza sull’inizio attività; 3 per adempimenti ambiente e sicurezza sull’inquinamento; 9 per adempimenti ambiente e sicurezza sui rifiuti; 15 per adempimenti ambiente e sicurezza su sicurezza e 626; 6 adempimenti sicurezza per attività particolari; 3 adempimenti sicurezza per l’uso di sostanze pericolose; 21 adempimenti sicurezza per impianti e macchinari; 5 adempimenti per la privacy.
E tutto ciò solo per iniziare. Poi c’è l’impresa da mandare avanti la responsabilità di avere lavoro sufficiente e sufficientemente remunerativo perché se no l’impresa chiude. E voglio ricordare che tutti quegli adempimenti si traducono in costi, costi che spesso non erano stati preventivati. Per questa ragione sarebbe molto utile che i costi per la sicurezza venissero obbligatoriamente calcolati a latere del capitolato anche nel settore privato, in modo da sottrarli alla contrattazione anche in caso di sub appalto. Le morti bianche non sono più tollerabili ma non basta far chiudere le aziende non in regola, perché potrebbero “riemergere nel sommerso” bisogna diffondere la cultura della legalità e della sicurezza, e questo è un compito che spetta a tutti noi che siamo chiamati a collaborare con rinnovato impegno.