Dossier Cna sulla burocrazia: le 65 'incombenze' per aprire un’impresa

Dossier Cna sulla burocrazia: le 65 'incombenze' per aprire un’impresa

Ascoli Piceno fra le 7 città capoluogo con la tassa più elevata per la ristrutturazione di un locale. Allarme ricostruzione: 5.500 euro per avviare le pratiche amministrative.

Ascoli - L’Osservatorio della Cna nazionale ha “misurato” la burocrazia che grava sulle imprese, opprimendole. I dati sono allarmanti e, per il Piceno, la brutta notizia aggiuntiva è quella di una pressione (sia di tempi che economica) relativa alle ristrutturazioni. “Nella situazione che stiamo vivendo – commenta Luigi Passaretti, presidente territoriale della Cna di Ascoli – dilatazione dei tempi ed eccessiva pressione economica non giovano certo a una ripartenza del territorio”. “Edilizia e proprio ristrutturazioni – aggiunge Francesco Balloni, direttore generale della Cna Picena – sono, e saranno per i prossimi anni, una delle chiavi più importanti per l’economia delle piccole e medie imprese del territorio. Sostenerle, dunque, significa anche agire per una reale semplificazione burocratica che liberi tempo e risorse per il lavoro”.


Ristrutturare un locale. L’avvio di un’attività presume la realizzazione di lavori edilizi per adattare i locali scelti alle esigenze dell’aspirante imprenditore. Talvolta i lavori sono obbligati: è il caso degli interventi per agevolare l’accesso ai disabili. Eppure, l’estrema complessità delle norme in materia edilizia rende spesso difficile perfino comprendere le procedure da seguire. Nel caso di semplici lavori di ristrutturazione interna (senza cambi di destinazione d’uso dei locali o superamento di vincoli particolari) è necessario presentare una Comunicazione inizio lavori asseverata (Cila). I diritti Cila sono gratuiti solo a Livorno, in gran parte costano meno di 100 euro e in sette casi (Ascoli Piceno, Caserta, Catania, Modena, Parma, Pesaro e Roma) li superano, con il picco della Capitale, dove si arriva a 251 euro. Gli adempimenti connessi alla documentazione che va allegata alla Cila sono molteplici. Va assegnato a un professionista l’incarico per la redazione del progetto, la presentazione della Cila, l’attività di direttore dei lavori, la comunicazione di fine lavori e l’aggiornamento del Catasto. Una serie di obblighi burocratici che costano intorno ai 5.500 euro.

Ma anche il resto dell’imprenditoria artigiana e commerciale non se la passa meglio. Certificati e permessi: 39 volte in fila e 18 mila euro medi di costi. E le prime vittime? Per l’Osservatorio Cna gli aspiranti imprenditori. Così si blocca chi ha idee e vuole crescere. In sintesi. Sessantacinque adempimenti. Ventisei enti coinvolti. Trentanove file (reali o virtuali) da fare. Quasi 18 mila euro di spesa. E tutto solo per aprire un salone di acconciatura. A svelarlo è “Comune che vai, burocrazia che trovi”, l’Osservatorio Cna che misura il peso della burocrazia sull’avvio di impresa, alla prima edizione (ma destinato a essere riproposto annualmente). Un’indagine condotta sul campo, in collaborazione con 52 Cna territoriali, in rappresentanza di altrettanti Comuni di cui 50 capoluoghi di provincia.

Acconciatura. Sessantacinque adempimenti. Ventisei enti coinvolti. Trentanove file (reali o virtuali) da sciropparsi. Una spesa di 17.535 euro. E tutto ciò solo per aprire un salone di acconciatura. A monte della presentazione della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) va previsto il superamento di un esame teorico-pratico a compimento di un corso triennale e di uno stage dalla durata variabile: dalle 500 ore richieste nel Lazio alle 1.200 in Lombardia e in Sicilia. Oltre alla documentazione obbligatoria per legge, da presentare al Suap (Sportello unico attività produttive) un terzo dei comuni pretende attestazioni facoltative. Che possono essere molto onerose.


Bar. Aprire un bar richiede fino a 71 adempimenti e coinvolge anche 26 enti con i quali, però, ci si può dover interfacciare fino a 41 volte perché ad alcuni enti ci si deve rivolgere varie volte. La spesa sfiora i 15mila euro (14.667 per la precisione). L’aspirante imprenditore deve aver frequentato un corso che costa in media sui 600 euro ma dura tra le cento (Emilia Romagna, Marche, Piemonte e Sicilia) e le 160 ore (Campania). Gli adempimenti obbligatori sono cinque. Un terzo dei comuni, però, ne richiede anche altri: dalla relazione sui locali e le attrezzature (140 euro) alla verifica dell’adeguatezza dei locali (300 euro), dal certificato di agibilità (mille euro) alla verifica dell’impianto elettrico. I diritti Scia spesso sono gratuiti ma in sei comuni il loro costo supera i cento euro.


Autoriparazione. L’aspirante auto-riparatore si trova di fronte una sorta di montagna: fino a 86 adempimenti complessivi da assolvere. Gli enti con i quali può avere a che fare sono 30 e 48 i contatti. Con oltre 18.550 euro di costi da affrontare. Per diventare responsabile tecnico di un’attività di autori-paratore (meccatronica, gommista, carrozzeria) occorre un corso propedeutico della durata di 500 ore che costa 2mila euro. I diritti Scia oscillano tra la gratuità e un costo superiore ai cento euro. Molte amministrazioni, inoltre, fanno ulteriori richieste rispetto a quelle previste dalla normativa unica. Particolarmente numerosi per l’aspirante autoriparatore sono gli adempimenti ambientali, dall’impatto acustico all’assimilazione acque reflue. Con l’aggravante, anche su questo fronte, dei comuni che procedono in ordine sparso.

Gelateria. Per trasformare il suo sogno in realtà l’aspirante gelatiere può trovarsi ad affrontare fino a 73 adempimenti, con 26 enti coinvolti e 41 contatti. E con una spesa per le pratiche burocratiche che da sola arriva a superare i 12.500 euro (12.660 per la precisione). Anche in questo caso è previsto come pre-requisito quello della frequenza di un corso di Somministrazione alimenti e bevande. L’iter burocratico vero e proprio si apre con la presentazione della Scia, di solito accompagnata da una notifica sanitaria. Agli adempimenti standard in questa fase alcuni comuni ne aggiungono di facoltativi: dalla planimetria con relativa relazione alla verifica dell’adeguatezza locali e dell’impianto elettrico.


Falegnameria. Per aprire una falegnameria gli adempimenti possono arrivare a 78, gli enti coinvolti a 26 e a 39 le volte in cui l’aspirante imprenditore (o chi per lui) si deve confrontare con la Pubblica amministrazione. Il combinato disposto di questa girandola di impegni porta fino a 19.742 euro la spesa per le pratiche burocratiche. L’adempimento in sé più oneroso è il certificato controlli antincendi rilasciato dai Vigili del fuoco: mediamente costa 1.600 euro e abbisogna di 60 giorni per il rilascio. Data la particolarità dell’attività di falegname non sempre è il Suap l’interlocutore di riferimento. Talvolta è un apposito sportello comunale al quale si può inviare tramite Pec e/o in via telematica. Rispetto ad altre attività la falegnameria presenta un numero molto elevato di obblighi ambientali. Con costi, tempi ed enti coinvolti estremamente variabili da un comune all’altro. Rimanendo ai costi si va da 150 a 600 euro per le pratiche relative allo scarico di acque reflue, da 500 a mille euro per l’impatto acustico, da 150 a 700 euro per l’industria insalubre e da 500 a 1.100 mila euro per le emissioni in atmosfera.


Salute e sicurezza. La normativa italiana in materia di salute e sicurezza si caratterizza per l’eccessiva complessità e per l’assenza di modularità tra le varie imprese. Di conseguenza, viene imposta a tutti i datori di lavoro, senza riguardo per la pericolosità dell’attività o per la dimensione dell’impresa, l’adozione degli stessi obblighi documentali e formativi. La complessità si traduce anche in onerosità. La spesa media per gli adempimenti su salute e sicurezza sul lavoro va da 1.854 euro per attività di gelateria e acconciature, considerate a basso rischio, a 2.119 per i bar, a 4.414 per l’autoriparazione e addirittura a 5.784 euro per la falegnameria.

Insegne di esercizio. L’autorizzazione al posizionamento di cartelle, insegne di esercizio e altri mezzi pubblicitari coinvolge fino a dodici enti. Un numero che da solo la dice lunga sulla farraginosità della burocrazia italiana e delle sue imposizioni. Per ogni genere d’insegna, se l’attività è prospiciente una strada statale, anche la Provincia e l’Anas sono chiamate a dare la loro autorizzazione. In ogni caso, anche per un’insegna di piccole dimensioni posta al di sopra di un’attività in una zona semicentrale, per redigere la richiesta di autorizzazione con i relativi documenti è necessaria una consulenza tecnica. Il combinato disposto porta alcuni comuni (Catania, La Spezia, Siena, Torino) a prendersi oltre 60 giorni per rilasciare il nulla osta. Se l’insegna va collocata in un centro storico, la situazione si complica. L’autorizzazione, infatti, in questo caso abbisogna pure di un nulla osta paesaggistico e di un via libera della Polizia municipale.

Assunzione di un apprendista. La legislazione del lavoro prevede tre diverse tipologie di apprendista. L’Osservatorio ha scelto come esempio il contratto di apprendistato professionalizzante. Per il quale il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la formazione professionalizzante, la cui durata e modalità di erogazione sono stabilite dal Contratto collettivo nazionale di lavoro o da accordi interconfederali. La formazione va integrata dall’offerta formativa pubblica finalizzata all’acquisizione di competenze di base (da 40 a 120 ore). Il costo medio di questi adempimenti è di 400 euro e gli enti di riferimento talvolta sono diversi. Il datore di lavoro è costretto, pertanto, a comunicare più volte e a più enti le stesse informazioni in contrasto anche con il divieto di chiedere alle imprese documenti e informazioni già in possesso della Pubblica amministrazione.


Le valutazioni riferite alle dinamiche imprenditoriali del Piceno start up per il futuro ma con basi solide.

Superare lo scoglio del quinto anno di vita. Una impresa su due non ce la fa e chiude i battenti. Nelle Piceno a cessare l’attività dopo appena un lustro è il 51 per cento delle piccole aziende (un punto percentuale in meno rispetto alla media regionale). Un dato che frena lo sviluppo del sistema imprenditoriale regionale. Nel 2004 a non farcela era il 34,9 per cento delle nuove imprese marchigiane e il 35,6 per cento delle imprese del Piceno.

La chiave della ripresa nell'innovazione.

Imprese giovani, imprese tecnologiche e ad alto valore di innovazione, informatica, ristorazione, accoglienza e svago. In questi settori, nel primo semestre del 2018, il Piceno “corre” più del resto delle Marche. Dall’analisi che la Cna di Ascoli ha commissionato al Centro studi regionale dell’Associazione, emerge una provincia ancora a due velocità ma con significative direttrici di sviluppo chiaramente indicate dai dati elaborati. Le imprese che operano nel settore dei servizi di informazione e comunicazioni sono infatti cresciute nel Piceno (il dato è di aprile 2018 raffrontato ad aprile 2017) del 2,1 per cento. A livello regionale, invece, la crescita si è fermata allo 0,7 per cento. Stesso trend per le attività scientifiche e tecnologiche: più 1,7 per cento nel Piceno, più 0,9 nelle Marche. Ancora più significativa la differenza per le aziende che operano nel settore della ristorazione e degli alloggi: nel Piceno in un anno sono cresciute dello 0,8 per cento mentre a livello regionale c’è stata una flessione dello 0,2 per cento.


Formazione per contrastare la disoccupazione che non allenta il morso.

La ricetta del Piceno per mettersi alle spalle definitivamente la crisi. Imprese innovative e “alternative”. Artigianato e piccole aziende della nostra provincia “cambiano pelle” per adeguarsi alle nuove esigenze del mercato. E’ uno dei dati più significativi e interessanti che emergono dallo studio che la Cna di Ascoli ha compiuto – con i dati elaborati dal Centro studi della Cna regionale delle Marche – sui più importanti indicatori dell’economia, del lavoro e della produzione nel Piceno in questo 2017. Il saldo delle imprese (fra nuove aperture e cessazione) nel 2017 è stato positivo anche se di poco (più 0,2 per cento).

Come rileva il Centro studi regionale della Cna, un’ampia parte delle nuove imprese risultano dunque “imprese non classificate” nei registri della Camera di Commercio. Proprio l’ampiezza del numero delle imprese ancora non classificate evidenzia un aspetto importante. Ovvero che le nuove imprese che si immettono in attività non sono facilmente riconducibili ai settori tradizionali, manifatturieri o del terziario. E questo perché si avviano a operare secondo modalità innovative e non facilmente collocabili. Talora nascono per operare in ambiti misti, a cavallo tra settori differenti, con attività che possono ricadere in più di un settore dei servizi oppure in attività manifatturiere e di servizio contemporaneamente.

Trasformare la creatività dei giovani in solidità aziendale.

Al primo posto fra le province italiane per innovazione aziendale e al secondo posto per le start up innovative. Ma solo al 57mo posto per tasso di occupazione medio e ancora peggio per quanto riguarda il lavoro giovanile. La Cna di Ascoli Piceno analizza le statistiche appena pubblicate dal “Sole 24 Ore” riguardo la vita e il lavoro nelle 110 province italiane e rilancia il progetto dell’Associazione riguardo formazione e innovazione come ricetta per mettersi alle spalle definitivamente un decennio di crisi e recessione. Le potenzialità ci sono ma ci limita ancora un gap. Da una parte grande spinta innovativa e capacità di fare, come testimonia la nostra posizione riguardo le start up. Dall’altra una perdurante difficoltà a rendere concreti e diffusi questi grandi slanci. Vincoli burocratici e un ancora troppo forte scollamento fra il mondo della formazione e quello dell’impresa.

Micro imprese e giovani imprenditori: stesso problema, il credito!

L’ultimo rapporto della Banca d’Italia che nel Piceno, nel 2017, le imprese medio-grandi hanno ricevuto crediti per un importo pari allo 0,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Piccole e micro imprese, invece, per il sesto anno consecutivo hanno registrato una contrazione delle erogazioni del 4,4 per cento. Ma un segnale ancora più preoccupante, e sul quale è urgente intervenire, è un sondaggio dell’Ebam secondo il quale nel primo semestre del 2018 quasi il 40 per cento delle piccole e medie imprese del Piceno hanno indicato difficoltà a valutare preventivamente le condizioni di accesso al credito della propria impresa e, di conseguenza, a indirizzarsi a linee di finanziamenti più congrue e funzionali alle proprie dinamiche produttive e imprenditoriali.

Problema di accesso al credito ancora più rimarcato per le neoimprese. La Cna di Ascoli ha elaborato i dati di Unioncamere estrapolando il fatto che se nel 2016 per la realizzazione di una nuova impresa l’impegno economico nel Piceno era di circa 15mila euro, nel 2018 questa cifra è scesa a poco più di 13mila euro. Una sottocapitalizzazione che induce sempre più a finanziarsi con mezzi propri piuttosto che percorrere il ripido sentiero del sistema bancario. Addirittura più del 51 per cento delle piccole neoimprese ha investito per partire meno di 5mila euro. Ma, come evidenziato prima, a fronte di questa pericolosa forma di “risparmio al ribasso”, un progetto imprenditoriale su due è fallito.