Elaborazione di IRES Marche sui dati INPS. Nella graduatoria delle province italiane, quelle marchigiane si collocano tutte al di sotto della media nazionale: Ancona al 39° posto, Pesaro-Urbino al 49°, Macerata al 60° e Ascoli Piceno-Fermo al 63°. Le regioni con i livelli retributivi più alti sono la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna. Le Marche si collocano all’11° posto. Calabria, Sicilia e Campania sono le Regioni con le retribuzioni più basse.
Ancona - Le retribuzioni medie lorde annue percepite nelle Marche sono pari a 19.422 euro e sono significativamente inferiori sia al valore delle regioni del Centro (-1.767 euro) che a quello medio nazionale (-2.368 euro). Dunque, è come se i lavoratori delle Marche percepissero una mensilità e mezzo di retribuzione in meno della media nazionale. Peraltro, nel 2016, tali differenze si sono accentuate rispetto all’anno precedente. Va precisato che i valori retributivi sono nominali e non tengono conto dell’inflazione.
Significative le differenze retributive di genere: le retribuzioni medie lorde annue dei lavoratori ammontano a 22.583 euro, a fronte dei 15.454 euro delle lavoratrici: quest’ultime, dunque percepiscono 7.129 euro meno dei loro colleghi maschi, pari a -31,6%.
Naturalmente queste differenze sono condizionate anche dalla maggior utilizzo per le lavoratrici del part time piuttosto che dei contratti a termine.
Tuttavia, l’incidenza di contratti precari o a tempo parziale giustifica solo in parte il divario retributivo tra maschi e femmine.
Osservando la qualifiche professionali, emergono notevoli differenze: le retribuzioni degli operai sono di 16.146 euro lordi annui e quelle degli impiegati sono di 23.280 euro; le retribuzioni dei quadri arrivano a 60.251 euro lordi mentre quelle dei dirigenti sono mediamente di 131.906 euro. Gli apprendisti percepiscono mediamente 11.385 euro annui.
I dirigenti nella nostra regione percepiscono mediamente una retribuzione pari a 8,2 volte rispetto a quella degli operai e 5,7 volte rispetto a quella degli impiegati.
I giovani lavoratori con meno di 29 anni presentano una retribuzione lorda annua di 11.690: si tratta di un importo notevolmente inferiore a quello mediamente recepito dai lavoratori dipendenti privati nelle Marche.
I giovani con un lavoro a tempo determinato percepiscono mediamente retribuzioni di 7.297 euro lordi annui, mentre quelli che hanno un contratto di lavoro a tempo determinato percepiscono mediamente 7.300 euro lordi annui.
Dunque, i giovani, più esposti a lavori precari e discontinui o a part time involontari, si misurano con retribuzioni medie complessivamente basse e bassissime.
Se si osservano le singole province italiane, emergono divari retributivi notevoli: si passa da 29.628 euro lordi anni a Milano a 12.118 euro a Vibo Valentia,a fronte di una media nazionale di 21.790 euro annui.
Nella graduatoria delle province italiane, quelle marchigiane si collocano tutte al di sotto della media nazionale: Ancona al 39° posto, Pesaro-Urbino al 49°, Macerata al 60° e Ascoli Piceno-Fermo al 63°. Le regioni con i livelli retributivi più alti sono la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna. Le Marche si collocano all’11° posto. Calabria, Sicilia e Campania sono le Regioni con le retribuzioni più basse.
Secondo Daniela Barbaresi, Segretaria CGIL Marche: “questi dati mettono in evidenza come i livelli salariali siano complessivamente troppo bassi e troppo diseguali. Si può, quindi, affermare
che c’è una vera e propria questione salariale da affrontare. La discontinuità lavorativa, così come il part time spesso involontario o una combinazione di entrambi le condizioni, si riflettono pesantemente sui livelli salariali percepiti e il fatto di avere un lavoro non sempre mette al riparo dal rischio di povertà, soprattutto quando gli unici redditi da lavoro in famiglia sono parziali o intermittenti”.
Livelli retributivi troppo bassi rendono necessario un ripensamento delle politiche del lavoro, delle politiche fiscali e di sostegno al reddito e soprattutto delle politiche contrattuali da rendere più robuste e rivendicative. Peraltro, con salari troppo bassi significa anche futuro pensionistico incerto, visto che i contributi versati non saranno sufficienti a garantire pensioni dignitose.
Aggiunge Barbaresi: “occorre evidenziare che c’è un circolo vizioso tra bassi salari, domanda interna stagnante e bassa crescita che rende necessario porre la questione salariale al centro del dibattito del Paese”.
Dichiara Giuseppe Santarelli, Segretario regionale, responsabile delle politiche contrattuali: “salari poveri sono anche l’indice di un sistema produttivo povero e fragile che, per troppo tempo, ha cercato di competere sul contenimento dei costi a partire dal costo del lavoro anziché puntare su una competitività basata su investimenti, innovazione, tecnologia, qualità e produttività”.
Se di una nuova politica salariale c’è bisogno, questa deve poggiarsi su due strumenti: contrattazione e fisco adeguati e coerenti con l’obiettivo.
La contrattazione, da quella nazionale a quella decentrata, è lo strumento per sostenere crescita dei salari e la crescita della produttività, la quale però non è solo frutto del fattore lavoro e non è solo dipendente da fattori interni all’impresa ma anche da fattori esterni: infrastrutture, energia, territorio. La contrattazione di secondo livello deve essere estesa e consolidata, visto che oggi interessa una componente minima di lavoratori e imprese: nelle Marche sono meno di 250 le imprese marchigiane che hanno depositato accordi decentrati presso le Direzioni Territoriali del Lavoro.
Occorre anche una politica fiscale
adeguata che sostenga il valore reale dei salari e che riduca il peso
fiscale sulle retribuzioni: solo così si potranno rilanciare
consumi, investimenti e crescita. Ma anziché discutere di flat tax,
che riduce in modo significativo il peso fiscale sui redditi più
alti ma che non tocca se non in modo marginale o nullo le
retribuzioni più basse, occorrerebbe prevedere un intervento di
riduzione fiscale significativa sui salari a partire da quelli più
bassi, cosi come prevedere la fiscalizzazione degli aumenti derivanti
dai rinnovi dei CCNL. Dunque, non solo intervenire sul cuneo fiscale
ma anche sui salari da contratto nazionale, a vantaggio dell’intera
platea di lavoratori dipendenti.