Il dossier aperto sulla vicenda partendo da quanto vissuto localmente dall’imprenditore ascolano Luigi Paoletti ha progressivamente svelato scenari meritevoli di ben altre attenzioni rispetto a quanto loro riservato da chi dovrebbe salvaguardare gli interessi dei cittadini italiani, dipendenti, lavoratori autonomi o imprenditori che siano.
Sentite cosa ci ha raccontato Cesare Ronchi di Milano.
“Ho iniziato a
20 anni nel mondo dell'autonoleggio. - dice Ronchi - Tredici anni in
Europcar, poi, quando l'amministratore delegato di Europcar diventa
direttore generale Avis, che negli anni '90 inizia con il
franchising, sono stato il primo a essere stato chiamato. Con Avis ho
iniziato in stazione centrale a Milano, l'ufficio più importante
dopo l'aeroporto, poi mi hanno chiesto di aprire in piazza Diaz.
Insomma, per farla breve avevo i tre uffici di Milano ( c'era anche
quello di via Gasparotto) che erano tra i più importanti d'Italia.
Nel 2015 a Milano
tutti prevedevano che dovesse essere l'anno del Bengodi perché c'era
l'Expo. Quindi immaginate che mi avrebbero lasciato guadagnare la
valanga di soldi che hanno guadagnato? Certamente no. Quindi a marzo
del 2014 mi hanno mandato la lettera di disdetta. Quindi io mi sono
ritrovato nel 2014 all'età di 62 anni, con tre uffici e i
dipendenti, con un fatturato per i tre uffici che arrivava a 5
milioni di euro, naturalmente avevamo anche tutte le spese pazzesche
relative a tre uffici come quelli che ho descritto. Senza più nulla,
a due anni dalla pensione. E mi ero sobbarcato anche di 6 mesi di
spese intanto per l'ufficio della stazione che ad un certo punto si
era allagato ed è stato dichiarato inagibile. Per un periodo sono
stato costretto dall'Avis a pagare quell'affitto senza poter
usufruire dell'ufficio e tra l'altro non potevo licenziare i
dipendenti e metterli in mezzo alla strada. Dopo quella lettera di
rescissione del contratto di franchising cosa avevo chiesto all'Avis?
Di riassumere loro i miei dipendenti e pagarmi gli ultimi due anni
per permettermi di andare in pensione, perché nonostante la mia
esperienza chi se lo prende a lavorare uno di 62 anni ad 1 anno e
otto mesi dalla pensione? Niente. Per dismettere i tre uffici mi è
costato oltre 200 mila euro, non avevo più niente tranne casa. E in
casa sono stato per due anni con un grave problema psicologico. Ero
una una persona che aveva tutto e di punto in bianco non si ritrova
più niente. In tutto il nord Italia sono l'unico che è stato
fregato perché gli altri li hanno tutti rimessi a posto. Ma lo so
perché sono stato fregato: avevo gli uffici più importanti. Fregato
mentre mi davano rassicurazioni e mi mandavano negli anni lettere di
elogio”.
La vicenda in se stessa ricalca i connotati delle tante altre che hanno coinvolto classi di lavoratori in questo periodo economicamente complicato. Ma ciò che la rende unica e degna di una particolare attenzione è il trattamento che è stato riservato ai partner Avis, per loro natura impossibilitati ad accedere ad alcuno degli ammortizzatori sociali nel momento in cui hanno subito l’interruzione del rapporto, non solo ma che si sono visti negare qualsiasi contropartita economica (buonuscita o avviamento che sia). Ed ancora trascurando con ignavia intollerabile i danni collaterali che l’iniziativa dell’Avis ha riversato su di loro con effetti economici dirompenti .
Come abbiano potuto
fare quei giudici chiamati solo per mettere sul piatto della bilancia
privilegi e angherie a non vedere tutto ciò è un mistero. Come non
ammettere che la figura di imprenditori connessa ai partner Avis, che
nega loro la possibilità di essere tutelati socialmente, avrebbe
dovuto quanto meno trovare una tutela giuridica quali appunto
imprenditori. E quindi di conseguenza riconoscere il diritto ad
essere risarciti sia dei guadagni che venivano a cessare in capo a
loro per essere pari pari dall’oggi al domani trasferiti ad altri,
siano essi Avis stesso o altri soggetti giuridici; e sia dei danni
che andavano a prodursi per l’interruzione di un lavoro per il
quale si erano stabilite organizzazioni complesse, non semplicemente
rapporti personali. Si può dire che tutto ciò non è comprensibile.
Queste
considerazioni ci vengono rafforzate oggi quando, come anticipavamo,
altre testimonianze spontanee ci sono state fornite. È il sig.
Cesare Ronchi di Milano a raccontarci la sua esperienza.
Confermandoci anzitutto che la falce dell’Avis non ha fatto
distinzioni territoriali ma ha interessato tutta la penisola, grandi
e piccoli centri, città metropolitane e di provincia. Più che di un
bisturi qui si vede il segno di un’accetta. Il sig. Ronchi ci svela
particolari inediti raccontandoci delle inimmaginabili difficoltà in
cui si ritrovò a seguito della perdita del rapporto di agenzia con
Avis. Premettiamo che Ronchi, passato attraverso esperienze in Hertz
e con Europcar, approdò ad Avis nel 1994 e assunse la gestione delle
agenzie di tre uffici nel cuore di Milano. Piazza Diaz (il parcheggio
di Piazza Duomo), Stazione Centrale FFSS (Galleria delle Carrozze),
Via Gasparotto. Un uomo una garanzia per Avis che lo ricopre di
riconoscimenti nel tempo. Nel 2014, epoca dei fatti, non ha ancora
maturato il diritto alla pensione previsto per circa tre anni dopo.
Lo ha iniziato a fare presente al management dell’Avis per
programmarsi un ridimensionamento progressivo senza traumi per
l’organizzazione in generale e pensando ai suoi dipendenti. Un
comportamento da buon padre di famiglia che i manuali di diritto
privato italiano ritengono fondamentale nei rapporti tra le persone.
Il suo interlocutore Avis minimizza, lo gratifica anche, come ci
racconta (“tu non molli, ti conosciamo” ed altre amenità del
genere). In realtà il sistema è già organizzato per dargli il
benservito, che arriva solo un paio di mesi dopo. Ci sarebbe da
ridere, se non fosse da piangere. Perché il problema vero fu
affrontare le conseguenze, personale da licenziare, liquidazioni da
improntare, uffici da smobilizzare, contratti in corso da chiudere in
anticipo, penali, investimenti in mezzo ad una strada
(metaforicamente), affannose e dispendiosissime iniziative legali
che, come le altre di cui parlammo nei precedenti articoli, si
scontrarono nelle aule dei Tribunali contro un muro di gomma.
In particolare il sig. Ronchi ci confida di come il giudice chiamato a decidere sulla “ante causam” da lui promossa per bloccare la disdetta, solo qualche giorno prima della sentenza, in corso di procedimento, apostrofò a voce alta il rappresentante dell’ufficio legale dell’Avis ricordandogli come certe iniziative non possono prendersi a cuor leggero e che poi si deve essere pronti ad assumerne le responsabilità. Affermazione rinnegata tempo due giorni non trovando espressione nella sentenza, che si manifestò in tutta la sua benevolenza nei confronti di Avis. Come nelle altre vicende di cui ci siamo già occupati in precedenza, venne dichiarata, da quello stesso giudice, la legittimità dell’esercizio di diritti contrattuali da parte della multinazionale.
Tutti a casa dunque
e, mestamente, Ronchi ci confessa di aver dato fondo a tutti i suoi
risparmi. Senza reddito per ancora due anni e più, e la tempesta
economica che si trovò a fronteggiare. E qui torniamo all’inizio,
di come la multinazionale americana Avis abbia fatto pagare il conto
della crisi ai suoi partner italiani. Nell’assoluta indifferenza se
non con la complicità di chi aveva il dovere di ristabilire equità
ma non l’ha fatto. Assecondandone platealmente i programmi.
Come finirà questa vicenda. È in corso, sappiamo, qualche iniziativa legale ulteriore. Chi ci ha testimoniato le proprie vicissitudini ci ha richiesto in primis di dare voce al suo malessere affinché l’opinione pubblica possa formarsi correttamente, conoscendo come sono andati i fatti. Se è già finito il tempo dell’assecondamento spregiudicato da parte delle Istituzioni delle iniziative delle multinazionali, come tanti segnali stanno a testimoniare, quanto perpetrato ai danni dei partner Avis andrà riconsiderato. Seguiremo gli sviluppi, pronti a raccogliere testimonianze ulteriori.