Nel Piceno il passivo dei fallimenti è di 804 milioni di euro

Nel Piceno il passivo dei fallimenti è di 804 milioni di euro

Considerando solo la metà delle procedure. Cesari: La crisi di un'impresa può essere risanabile con i nuovi strumenti normativi

In realtà la sala dell'auditorium Carisap stracolma di professionisti, venuti dal Piceno e da fuori provincia, rappresenta l'attestato di un forte senso di responsabilità dei professionisti stessi coinvolti nella battaglia tra imprese e crisi. E la presenza dei magistrati Mauro Vitiello (Sezione fallimentare del tribunale di Milano), Giuseppe Di Salvo (Roma) e Raffaele Agostini (Ascoli Piceno), ha consentito il confronto delle interpretazioni giuridiche nelle diverse sedi in seguito alle nuove normative sul concordato cosiddetto “in bianco”. Perché un seminario di questo tipo? La risposta è anche nei numeri del territorio piceno. Numeri dimezzati per il momento. Su un totale di 503 procedure aperte nel 2012, solo la metà (circa) ha prodotto la relazione periodica (256 procedure su 503) con il sistema  Fallco (sistema software giuridico Zucchetti). Il risultato visualizza un passivo di 804 milioni e 173 mila euro formato da 537.179.614 euro chirografi, 216.174.703 euro privilegiati, 48.941.723 euro ipotecari, 1.618.642 euro prededuzioni e 257.669  euro pignoratizi. Si capirà come l'interpretazione di queste somme vada a tradurre lo stato di crisi del Piceno, la moria di aziende e, di conseguenza, la perdita di posti di lavoro. Era opportuno dunque per l'Ordine puntare sulla formazione alla luce delle nuove norme. Questo appuntamento culturale ha fornito ai professionisti una visione fedele alla realtà di tre distretti giudiziari e il comportamento delle sezioni fallimentari di Ascoli Piceno, Milano e Roma. E se, come è emerso dalla tavola rotonda e dalle relazioni, il legislatore ha voluto imprimere un sostegno al salvataggio delle imprese era logico rafforzare le conoscenze sul campo. «Una crisi di tale portata – dice il presidente Mariano Cesari – sta mettendo a dura prova il tessuto imprenditoriale: la nostra categoria oggi deve mettersi in gioco per essere parte attiva nella gestione della recessione in atto. E' determinante intervenire per il risanamento. Ci sono diverse modalità: piani di riequilibri interni all'azienda, accordi con i creditori, lo scioglimento volontario o forzoso. Il nostro intervento tempestivo può analizzare se si sia ad uno stadio iniziale o “terminale” dell'emergenza aziendale: declino, crisi, insolvenza e dissesto. Se si interviene nella fase di declino, cioè l'inizio del fenomeno, con perdita della capacità reddituale e riduzione del valore del capitale economico, si può pensare al risanamento. La crisi può essere risanabile quando è legata al ciclo di vita del prodotto, dell'impresa o dell'intero settore produttivo ».  Ignazio Arcuri, esperto di ristrutturazioni aziendali, guarda in prospettiva e indica la via del dialogo con il mondo bancario poiché tra 10 anni il sistema dei principi contabili abolirà la visione di lungo periodo e tutto sarà analizzato a breve termine contando sui flussi di cassa. «Il commercialista, a rischio di perdere il cliente, - dice Arcuri - deve fare una consulenza “distante”». C'è un adagio che traduce il concetto “Il medico pietoso fa la piaga puzzolente”. Il giudice Giuseppe Di Salvo evidenzia come «il blocco delle azioni esecutive e cautelari (conseguenza del concordato in bianco, ndr) fin dalla presentazione del ricorso penalizza il ceto creditorio, ma volge alla conservazione dell'impresa a superare la stessa crisi». Un concetto sposato dall'avvocato Salvatore Sanzo. Il giudice Mauro Vitiello si è detto scettico sul concordato con continuità aziendale. «Per risanare un'impresa – dice Vitiello – ci sono il piano di risanamento e gli accordi di ristrutturazione. E presto vedremo cosa accadrà». Il giudice Raffaele Agostini ha colto nella sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite difficoltà interpretative sulla giurisprudenza fallimentare elencando scelte opposte tra diversi tribunali. «Ad Ascoli Piceno – dice Agostini – sono giunte molte istanze sul sovraindebitamento. E il più vecchio fallimento (legge Pinto) è del 1978». Il dottor Agostini in precedenza aveva evidenziato per il tribunale locale numeri impressionanti e una situazione difficile da gestire. «Un fallimento dovrebbe essere una procedura veloce invece può durare 5 o 6 anni perché l'ufficio è strapieno».