Manuli, referendum fratricida

Manuli, referendum fratricida

Istituzioni e sindacato rischiano di fare i liquidatori d'aziende

cioè il fatto che 140 lavoratori rientrino a lavoro e quindi si possa mantenere la produzione anche se ridotta. Altri 235 lavoratori però resteranno a piedi, o meglio, alcuni troveranno la propria strada tramite il prepensionamento, altri saranno incentivati ad uscire volontariamente, altri ancora avranno due anni di cassintegrazione e due anni di mobilità.
Mentre si sta decidendo tutto questo, parallelamente il Tribunale di Milano ha prima dichiarato l'insolvenza della Maflow Spa (monte debiti di 140 milioni di euro) e poi ha concesso l'amministrazione straordinaria. Il 24 novembre si terrà l'adunanza dei creditori per la valutazione dello stato passivo. I commissari nominati dal Tribunale valutano che la società non possa tornare in bonis e indicano come via migliore quella della cessione dei complessi aziendali.
Tenendo conto che questa società è stata ceduta dal gruppo Manuli Rubber Industries ad un unico investitore di diritto lussemburghese, pare di scorgere nell'attuale via scelta per il suo stabilimento ascolano una sorta di “amministrazione straordinaria”.
Ma qui lo scopo è diverso. La Manuli Rubber Industries ha già delocalizzato realizzando uno stabilimento in Cina e dalla scelta di chiusura dei settori di attività interni alla fabbrica di Campolungo si evince un futuro poco favorevole per il mantenimento della produzione  e della conseguente occupazione.
Una volta usciti i macchinari dall'azienda inizierà un destino verso un'infausta discesa. Di fatto l'azienda coglie questa situazione, senza volerci nascondere che di fatto la crisi esiste per tutti, per trarre beneficio diversificando attività nel settore dell'energia avendo ottenuto senza grosse barriere deroghe di produzione energetica. Vediamo s tutti gli attori in campo hanno fatto il meglio di ciò che si poteva fare
in questa vicenda.
Le Istituzioni hanno sventolato bandiere fino ad un certo punto poi hanno imboccato la via della “presunta” sacralità: la trattativa è tra due parti, si è detto, sindacato e azienda, quindi tra moglie e marito è meglio non mettere il dito.
Da Confindustria locale ci saremmo aspettati un'impennata etica nei confronti di un imprenditore, Manuli, che da questo territorio ha tratto molti benefici, molti di più di quelli che hanno avuto chi ha lavorato in quella fabbrica. Così se in Sicilia gli imprenditori in odore di mafia vengono espulsi dall'Associazione, qui dove per fortuna questi problemi non ci sono, si saremmo aspettati che si lasciassero un po' da parte i vestiti di associazione datoriale per vestire la casacca della squadra locale.
E se in passato non si è fatto pregiudicando la coesione sociale, speriamo che per il futuro questo impegno che ci pare fare capolino esca con coraggio da quella “casa”. E il sindacato? Situazione di fiacca: di fronte alla classica domanda meglio l'uovo oggi o la gallina domani, si è scelto il male minore. E' vero 140 lavoratori torneranno in fabbrica ma per quanto tempo, visto che si vogliono smantellare cicli di produzione innovativa rispetto a quelli più maturi? Intanto Cgil, Cisl e Uil una cosa l'hanno ottenuta: oggi si tiene un referendum dove molti compagni di viaggio negli scioperi si “sputeranno” in faccia disprezzo pagato trenta denari.  La pensiamo così e potremmo sbagliare, anzi speriamo proprio di aver sbagliato.
Però, per evitare facili supposizioni, sia chiaro che chi scrive non potrà godere di cassintegrazione o ammortizzatori sociali. Nonostante ciò pensiamo che si possano costruire società e comunità più serene se tutti i protagonisti di una storia levassero lo sguardo più in alto.
Ogni volta che si compie un gesto o una scelta si va incontro a conseguenze e in un periodo dove le scelte spesso sono poco intrise di etica ci si può aspettare che la vertenza Manuli possa diventare un maligno apripista.