Sarà presente anche il noto entomologo Giorgio Celli
L'inaugurazione è in programma per sabato 7 luglio alle 18, alla presenza del noto entomologo Giorgio Celli, del critico Vittorio Spampanato (direttore dell'Area Museale "Ca' la Ghironda" di Zola Predosa e curatore del catalogo), e dell’assessore alla Cultura Margherita Sorge, che ha patrocinato l’iniziativa, nell’ambito del cartellone “Scenaperta”. La mostra resterà aperta fino a martedì 31 luglio, tutti i giorni (lunedì escluso) dalle 18 alle 24, con ingresso gratuito. Questo artista, definito “il pittore della luce” non dipinge tuttavia all’aperto. Parte invece dall’osservazione per poi lavorare sulla memoria, conservando e creando immagini nella mente, procedendo prima col bozzetto e intervenendo poi in un secondo tempo con i colori, nei giochi di luce carpiti dal suo occhio. È guardando sue opere come “L’albero bianco” che ci si può rendere conto del viaggio che certe immagini della natura hanno compiuto nella mente dell’artista prima di tornare alla superficie.
Sevini studia in profondità la vita degli animali, conosce i meccanismi della percezione, e certamente non imita la natura, ma sollecita associazione di idee, a partire dalla “prima” che i suoi dipinti sembrano “contenere”, quasi come sue qualità.
«Sevini è un pittore che dipinge le api, i funghi, la natura», scrive Celli, «La sua è una rivisitazione onirica dell’universo naturale, e dunque, se di naturalismo si tratta, è un naturalismo che nega se stesso, andandosene dritto dritto per la via dei sogni. È come se nei suoi quadri la natura, gli animali, le piante, i paesaggi scivolassero dolcemente in una distanza singolare, che li rende impalpabili, che li trasfigura sottilmente in un naufragio cromatico che ne mette in forse i contorni. Si direbbe che l'occhio pittorico di Sevini ospiti una componente estatica, che contempla più che osservare, promuovendo l'avvento di una leggiadra favola delle forme. Non a caso ama le api, questo popolo misterioso, che costituisce quasi una metafora dell'artista. Perché l'ape, come ha scritto Montaigne, raccoglie il nettare da tanti fiori, ma, alla fin fine, fa un miele tutto suo».