icordo e cronaca. Realtà e magia. Realismo magico. Tutto condensato nel pomeriggio che fa da prodromo al gran finale di 'Cinesophia, estetica e filosofia del cinema'
Ascoli - O sull’elicottero de “La dolce vita”. Per poi precipitare giù, asfissiati, come il Guido Anselmi di “8½”. Euforia e malinconia. Ricordo e cronaca. Realtà e magia. Realismo magico.
Tutto condensato nel
pomeriggio che fa da prodromo al gran finale di “Cinesophia,
estetica e filosofia del cinema”, che dopo la partenza lanciata
di ieri, con il dibattito su Bergman e lo spettacolo serale “Non ti
libererai di me”, sta concedendo gli ultimi scampoli di incanto nel
suggestivo scenario del teatro Ventidio Basso di Ascoli.
Rodata la formula ideata dall’associazione culturale Popsophia,
che ha organizzato in tandem con il Comune e con la
collaborazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale:
interventi pomeridiani di giornalisti, filosofi, studiosi e docenti
sul tema del realismo magico (prima in Bergman, appunto, poi in
Fellini) e “botti” finali con il Philoshow della sera.
Oggi è stato il turno di
altri tre momenti intensi ed altamente formativi (a presiedere palchi
e platea molti studenti e insegnanti degli istituti scolastici, visto
che Cinesophia vale anche come corso di formazione riconosciuto dal
ministero). Prima Roberto Mordacci, preside della Facoltà di
Filosofia dell’Università vita-Salute San Raffaele, che con
sagacia ha fornito la sua chiave di lettura all’autobiografia
magica del Maestro, quell’8½ in cui scrisse di sé, dei suoi
retaggi, della crisi umana, esistenziale e artistica senza concedersi
sconti, con l’autenticità dei grandi che poi è quella
dell’uomo comune alle prese con aspettative, fallimenti, bellezza,
trasgressione, gabbie. «Un film che non è un film», lo ha definito
Mordacci riportando le influenze e gli omaggi che ne hanno segnato il
percorso, dalla slapstick comedy fino all’impiccagione dei
moralisti evocata da Nietzsche.
Roberto Mordacci
A seguire, Andrea Minuz,
insegnante di storia del cinema presso “La Sapienza” di Roma, che
con l’ausilio di semplici immagini ha parlato di realismo magico
dal punto di vista dell’autore de “La strada”: prospettive
deformanti che vengono dall’età infantile (il Rex di “Amarcord”),
gli elementi naturali come trampolino verso l’inconscio, l’irreale
(la nebbia in “Amarcord”, il vento e la pioggia di “I
vitelloni”), gli spunti di cronaca che ne hanno sancito la
specularità felliniana: «Molte immagini oggi riconosciute
come tali, presero spunto da fatti dei rotocalchi che colpirono il
regista, dalla Ekberg nella Fontana di Trevi fino all’elicottero
che trasportava la statua di San Giuseppe, divenuta poi quella di
Gesù ne “La dolce vita”», ha detto Minuz, citando anche “Roma”
(uno dei film che più ha influenzato Sorrentino e il suo “The
Young Pope”), “Prova d’orchestra” e lo sguardo in macchina
dei personaggi divenuto sua cifra stilistica.
Chiusura con Marcello
Veneziani, che agganciandosi all’immagine finale fornita da
Minuz con Fellini in compagnia dei “suoi” sceneggiatori Tullio
Pinelli ed Ennio Flaiano, si è soffermato sul rapporto
con quest’ultimo ai tempi de “La dolce vita”. «Un film nato
sui tavolini dei caffè romani, nel continuo “cazzeggio” tra
Fellini e Flaiano e il loro disincanto, nello sguardo dei due
provinciali arrivati nella Capitale». Veneziani ha anche ricordato,
divertendo il pubblico, numerosi aneddoti, tra cui la nascita
dell’invadente “Paparazzo” (il cognome era di un ristoratore
calabrese), le battute, lo spirito di due “animacce” di cui oggi
si sente una gran mancanza.
Cinesophia, chiuderà stasera alle 21,30 con “Il sogno - L’esistenza lucidamente onirica da Amarcord a Inception” lo show tra musica, teatro, cinema e tv arricchito dalla presenza del professor Umberto Curi.