"Avviato all’arte nella natia Faenza - racconta Stefano Papetti - Timoncini è giunto giovanissimo a Milano dove si è diplomato nel 1954 alla Accademia di Belle Arti di Brera: in tempo, dunque, per assistere alla rapida crescita industriale e demografica della metropoli nei primi anni sessanta che viene puntualmente registrata nei dipinti e nei disegni che trasmettono la desolazione ed il senso di straneamento proprio delle periferie urbane cresciute troppo in fretta.
Senza mai abbandonare i toni lirici che ne connotano l’approccio alla realtà, Timoncini elabora uno stile asciutto, scabro che nel corso degli anni settanta tocca vertici espressivi di grande intensità emotiva che presagiscono i primi approcci dell’artista alle tematiche del sacro. Autore delle vetrate della chiesa di San Fedele a Milano, di opere destinate ai Musei Vaticani e della “Ultima Cena” per la chiesa di Giovanni Battista a Formia, Timoncini affronta un fitto dialogo interiore e trasmette attraverso le sue opere un senso del sacro che si invera nel quotidiano.
Agli anni novanta risalgono le fantastiche vedute composte da frammenti di città reali combinati fra loro in scorci vertiginosi che fanno sentire l’osservatore piccolo ed incapace di agire. La dialettica cromatica che caratterizza queste città dell’anima appare coinvolgente, al pari delle soluzioni compositive e capace di trasmettere un senso di vertigine che assomiglia tanto al turbamento che precede ogni cambiamento: alla vigilia di una svolta epocale, Timoncini afferma che l’onesto operare dell’artista ripaga chi lo pratica con coerenza e consola l’animo di chi ne ammira le opere".
"Ho raccolto le testimonianze più significative per un’esposizione che rappresenta un percorso espressivo dedicato all’esistenza dell’uomo - spiega Timoncini - “Dell’uomo e basta” secondo una fondamentale affermazione di Luigi Carluccio. Pitture e disegni di oltre cinquant’anni di ricerche che non esibiscono particolari preziosismi d’avanguardia e non hanno nulla da spartire col diffuso edonismo estetico fine a se stesso dei giorni nostri.
La mostra di queste opere è frutto di mezzo secolo di ricerche e di riflessioni, un diario intimo e un occhio spalancato sul mondo.
Non ho mai cercato il dramma e la disperazione, semmai ho concesso qualcosa alla tenerezza e alla compassione, poi, soprattutto ho sfiorato l’invisibile, il significato nascosto delle cose, il sussurro del silenzio, la lieve carezza delle simbologie, delle metafore e l’incanto del mistero metafisico.
La mostra, ordinata nelle splendide sale del Palazzo dei Capitani, dovrà esprimere questi significati. Riconfermo di essere testimone solo del mio tempo, di questo tempo che mi circonda, entro il quale vivo, sento e muoio lentamente".