a Milano, non avrà più dubbi ad attribuire la paternità di quell'opera d'arte nell'osservare il particolare, sullo sfondo di un grande pavone blu in primo piano (idea ripresa dall'Annunciazione di Carlo Crivelli), di un paesaggio marchigiano, piceno: un suggello che vale più di una firma per Pericoli. «M'impuntai e mi imposi a Garzanti – racconta il maestro Pericoli – nel volere quel paesaggio che era mio di fronte alla critica che non si trattasse di un paesaggio lombardo. Tanto difesi quell'immagine che da quel momento quella che era una decorazione divenne riflessione, un'indagine interiore per capire cosa m'avesse spinto in quella strenua difesa: l'attaccamento al paesaggio della mia terra era diventato prorompente, presente, vitale». Questa è una delle incursioni nella memoria che Tullio Percoli racconta nel corso della presentazione della “narrazione filmica”, così la definisce il sindaco Guido Castelli, “Tullio Pericoli e la Sala Garzanti – Dai disegni preparatori alla decorazione della Sala Garzanti” ideata dalla Fondazione Carisap. Nella Galleria d'Arte contemporanea Osvaldo Licini quei disegni preparatori sono diventati una mostra. Il video della durata di 30 minuti è stato prodotto dall'Agenzia Marchethink (direttore di produzione Maurizio Capponi, regia di Adalberto Zeller (Master Studio) e Zeno Rossi (Marchethink), voce fuori campo Piergiorgio Cinì) e presto sarà visibile all'interno della mostra. Si tratta di un viaggio che inizia dal Polo culturale di Sant'Agostino, dove ha sede la Galleria Licini e un tempo era sede del Liceo Classico Francesco Stabili dove il maestro Pericoli ha studiato. Ci si sofferma sull'analisi dei disegni preparatori e si arriva poi a Milano, nella Sala Garzanti, dove c'è l'incontro con l'editore Livio Garzanti che insieme a Pericoli ricorda i particolari della loro conoscenza, una cena a casa di Giorgio Bocca, e quindi l'incarico all'artista ascolano di decorare la Sala delle conferenze della casa editrice Garzanti. Per il professor Stefano Papetti questo film-narrazione rappresenta un fatto davvero inconsueto per un artista contemporaneo. «Si tratta – dice Papetti – di una documentazione della realizzazione di un'opera d'arte che avveniva solo per i classici: il committente osservava il pittore mentre affrescava le volte dell'edificio da decorare che aveva prescelto. Oggi è un momento davvero raro». Il rapporto tra Livio Garzanti e Tullio Pericoli ha due volti, quello raccontato dall'artista ascolano e la testimonianza scritta dallo stesso editore lombardo. «Dopo l'incontro a casa di Giorgio Bocca – dice Tullio Pericoli – Garzanti mi chiamò per incaricarmi di decorare la Sala Garzanti. Gli chiesi allora perché avesse scelto proprio me. Mi rispose che Pericoli gli dava il minimo garantito, una garanzia di tranquillità. Una risposta che poteva suscitare effetti contrastanti: indispettire o dare sicurezza. Io ho pensato che Garzanti intendesse dire che il mio minimo come artista lo faceva sentire garantito per l'opera che avrei realizzato. Iniziai così il lavoro e per tre mesi, a bordo della mia Cinquecento rossa, arrivano di buon ora in via della Spiga per uscirne tardi la sera e Garzanti, il Padrone, un “principe” capriccioso ma con un grande talento, spesso veniva a scrutare un lavoro che mano a mano prendeva forma e raccontava la vita della sua casa editrice». E' emblematico quello che scrive Livio Garzanti di Tullio Pericoli e all'artista ascolano dobbiamo una grande riconoscenza per aver narrato la nostra terra con amore e poesia. Ora la casa editrice Garzanti non è più in via della Spiga, il palazzo fu ceduto, ma la Sala Garzanti resta e ora il Fai intende procedere ad un restauro dell'opera di Pericoli per salvaguardarla dalla luce e ravvivarne i colori. Con tutta probabilità sarà visitabile nel contesto delle attività del Fai. "La fondazione Carisap - dice Paolino Teodori - si onora di questo momento per arricchire questo territorio. Una parte di Pericoli vive sempre con noi".
Livio Garzanti: "Man mano che il presente si consuma lo butto dietro le spalle, non lo conservo, non voglio vivere con ciò che non vive più. Poi, quando ne raccolgo una traccia, ne nasce un sogno. E' dal passato che a me nascono i sogni.
L'altro giorno, vecchio padrone di casa ormai ceduta, sono entrato nella "Sala Pericoli" e mi sono illuminato nel mio piccolo paradiso. Ho visto le figure degli anni miei più vivi, più combattuti. Pericoli, che con il suo parlare cauto e silenzioso sembra un angelo che in una scena rustica abbia da poco smontato le ali, è sceso nella sala povera di un palazzo al centro di una via, cara ai milanesi dai tempi di Maria Teresa, che ora brilla di moda chiassosa.
La sala è in verità un cortile chiuso da una volta di vetrocemento dove piove tra i muri la luce senza raggi di sole nel variare del giorno. Una fascia a gettata alta un metro regge la volta. In quel metro, con la matita e un pennello sottile, Pericoli ha segnato i tratti della mia memoria, gli eroi del mio tempo.
Tutto è su un fondo chiaro, senza il peccato di colori forti, con segni leggeri tra ricci di nuvole bianche che creano nella fascia stretta l'illusione degli spazi di un cielo.
Tra le nuvole sul fondo luminoso le figure dei miei ricordi. Ho Gadda con un mantello svolazzante nell'aria trasparente, il volto che ricordo impacciato dal pensiero e chiuso dall'ironia, qui liberato dai tormenti che ride in allegra beatitudine. Come piacerebbe questa immagine al Gran Lombardo!
Nei margini larghi di grandi pagine fitte come quinte del cielo sono i ritratti di Calvino, di Gina mia moglie, del mio amico Pasolini con la faccia dei ragazzi di vita, di Affilio Bertolucci delfico consigliere che mi diede lustro quando nacqui editore. Ci sono pagine della mia ultima grande terribile impresa, L'Enciclopedia Europea.
Unico colore, un pavone blu, guarda dall'alto — bravissimo Pericoli a creare gli spazi — una piccola distesa di cretacee colline marchigiane: come i pittori antichi ha voluto lasciare il segno del suo paese.
Non sono critico. Nel volume c'è uno scritto del nobile Tassi. Ma io vorrei vivere in un ricordo antico quest'arte viva di oggi, quando anche l'arte sembra voler difendere pur consunte per ogni sapere.
E' dell'infanzia l'immagine, che ho ferma nella memoria, di un quadro di pittore marchigiano o perugino del primo Quattrocento. Lo amavo per i toni chiari, per gli spazi vuoti ove sotto archi appena segnati nella struttura passavano correndo figure femminili. Non ritrovo la riproduzione, non il nome di questo minore, ma il ricordo mi tiene compagnia nell'andar lontano insieme a Pericoli agli albori del Quattrocento.Più rara fortuna averlo incontrato nella casa di Giorgio Bocca, dove vidi un ritratto di Beckett e seppi che stava immaginando una galleria di scrittori, desiderando far vivere con la sua matita personaggi da lui mai visti. Forse fu il suo parlar lento per accenni immaginando che m'incuriosì.
Per tre mesi poi scendere dal mio ufficio e vederlo dipingere muovendo alte le braccia come i pittori dei secoli gloriosi divenne una mia breve ripetuta vacanza. E man mano che andava vanti nel suo lavoro vedevo come leggero toglieva peso ai corpi e riconoscevo quella che era la sua virtù. La riconosco soprattutto ora, perché è la memoria che toglie il peso ai corpi per dar loro verità".