Il primo,medico condotto di Rocca di Papa era di origine romagnola mentre il secondo era il figlio del cuoco del papa. I due facevano parte di una società segreta La Carboneria .Gli appartenenti a questa “vendita carbonara” avevano idee e scopi abbastanza confusi nello spirito liberale che li animava ed erano scarsamente collegati tra di loro. Tutti volevano una costituzione che ponesse fine all’assolutismo. Alcuni propugnavano l’abolizione del potere temporale pontificio, mentre altri erano favorevoli all’idea di un regno costituzionale con il papa-re. I due che salirono sul patibolo si erano resi responsabili del ferimento di un certo Pontini,un carbonaro traditore che aveva “venduto”i suoi amici alla polizia pontificia. Montanari, accompagnato dal Tardini una sera, incontrando il traditore gli aveva piantato tra le due scapole un pugnale. Pontini non morì ed i due nonostante si trattasse di una semplice ferita, furono imprigionati processati e condannati a morte come “rei di lesa maestà e per ferite con pericolo”. Non vi fu alcuna pietà come avrebbe dovuto dettare lo spirito giubilare dell’Anno Santo né il Papa intervenne.
L’esecutore fu Mastro Titta figura storica ricordato come “il boia” non solamente a Roma ma anche nelle Marche. A Iesi nel 1797 Mastro Titta eseguì la condanna a morte di Pacifico Santinelli un ubriaco che condotto nelle carceri locali aveva strozzato il carceriere e sua moglie, a Porto Recanati ove eseguì lo squartamento del brigante Paolo Salvati, a Macerata ove ghigliottinò un uxoricida, a Fermo ove nel 1805 eseguì la condanna a morte di Luigi Masi che aveva commesso un assassinio ed uno stupro. Titta era il diminutivo di Giambattista, Bugatti il cognome e Mastro era inteso come “maestro di giustizie”. Ben 516 furono le condanne a morte che eseguì tra il 1796 ed il 1864.
Ufficialmente faceva il verniciatore di ombrelli. Aveva il domicilio a Roma in zona Borgo, così per eseguire le condanne a morte, che spesso si tenevano in piazza di Ponte Sant’Angelo, doveva “passare ponte”espressione rimasta mitica per la funzione alla quale era deputato. Mastro Titta andava all’appuntamento con la morte intabarrato nel suo manto scarlatto , cimelio esposto al Museo Criminologico di via Giulia,confessato e comunicato come ad un rito sacro. L’esecuzione costituiva un vero e proprio spettacolo con il corteo del condannato aperto dal salmodiare delle confraternite, il drappello dei soldati disposti in quadrato,la folla. Sul palco i tre “attori” principali,il condannato,il boia,il suo assistente. Nel momento che la mannaia calava sul collo del disgraziato i padri presenti assestavano ai figli uno schiaffo ammonitore “perchè gli servisse di esempio”a non commettere cattive azioni. Alla fine del tragico evento restava per la gente che sfollava una possibile interpretazione per ricavarne i numeri da giocare al lotto.