Cultura, Troli: «Un nuovo Umanesimo per le Marche»

Cultura, Troli: «Un nuovo Umanesimo per le Marche»

«Le parole pronunciate dall'assessore suonano alle mie orecchie come musica»

Dati i tempi molto grami, il ruolo della cultura rischia di essere del tutto residuale, come se in una società evoluta e moderna la presenza dell’azione culturale possa apparire quasi come un lusso che non possiamo permetterci.
Ce lo ha ricordato invece molto bene Natalia Aspesi che il turismo culturale è oggi una delle prime ragioni di movimento, di ricerca di mete privilegiate, di luoghi irripetibili, non solo per il significato storico che essi hanno, ma anche per come l’attività culturale li tiene ancora vivi e “significanti”.
 Oltre ai luoghi musicali citati nel lungo articolo della Aspesi, basterebbe pensare a cosa significa il TAU (gli spettacoli nei teatri antichi) per l’archeologia delle Marche e per la sua visibilità o qual è il ruolo dei festival estivi come ARS AMANDO ad Amandola per il protagonismo culturale di aree altrimenti marginali. 
Le politiche statali sembrano,invece, dimenticare lo spettacolo come risorsa fondamentale per un paese in cui questa è già un’industria leggera ad alto tasso di occupazione,capace di esportare immagine e professionalità in tutto il mondo, la cui crisi avrebbe il peso di altre ben più visibili e rumorose anche se apparentemente vissuta nel silenzio dell’incredulità degli operatori (chi può credere, in fondo, che l’Italia voglia fare a meno della cultura e dello spettacolo?).
E’ vero il “modello Marche”, tanta attività e di qualità ma a costi “marchigiani”, come ha sapientemente sottolineato in questi giorni il Soprintendente del Rof Mariotti, va portato ad esempio a chi in questi anni ha scialato con i soldi pubblici senza produrre nulla di paragonabile a questo Parco dello Spettacolo, a misura d’uomo, che oggi la nostra regione può offrire. Un vero tesoro che va preservato a tutti i costi.
L’intesa tra regione e province è un utile punto di partenza per definire una piattaforma condivisa di prospettive reali e di risorse possibili; gli enti culturali,e quelli dello spettacolo in particolare, devono individuare il loro ruolo per la creazione di un sistema in cui sinergie,economie di scala,programmazioni dialoganti,funzioni di vario livello siano finalmente definite(la nuova legge di settore può aiutare questo processo!). La Regione deve guidare questo percorso con un monitoraggio costante di ciò che accade e con meccanismi premianti per chi si muove in una logica di rete senza salti in avanti o inutili protagonismi che rischiano di arenarsi di fronte alla generale carenza di finanziamenti pubblici e privati. Essere in rete è un’ancora di salvezza in tempi di difficile navigazione in mare aperto.
“La cultura, per scelta politica ragionata e convinta,è destinata a diventare elemento essenziale per la realizzazione di politiche integrate di valorizzazione del territorio regionale”queste parole pronunciate da un assessore regionale che ha anche la decisiva e qualificante delega al bilancio suonano alle mie orecchie come musica. Da decenni sono convinto che il rilievo occupazionale ed economico del settore culturale è sottostimato nella nostra regione,già da molto tempo passata da dimensioni mezzadrili-piccolo industriali a terreno privilegiato per la attuazione di un modello di sviluppo basato sul binomio inscindibile ambiente-cultura. La strategia è infatti credere nella potenzialità ancora inespressa nei settori dei beni culturali e dello spettacolo: ci sono figure artistiche straordinarie nelle Marche,ci sono giovani preparati da occupare, ci sono spazi museali e teatrali di assoluto valore mondiale, l’immagine delle “Marche della cultura” può dare un valore aggiunto a settori economici oggi in crisi con un brand che non troverebbero nemmeno chiamando il migliore marketing manager del mondo. Occorre però che la Regione convochi un grande tavolo dove pubblico e privato convengano che investire sulla cultura è investire su di noi, su ciò che di più alto e indispensabile l’essere umano può produrre. Insomma un nuovo umanesimo, del resto Urbino nel Quattrocento, per una profonda fede nella forza della cultura, diventò una piccola capitale del mondo moderno. Perché non ripetere la scommessa con un’intera regione?».