Questo è l’esito del recente scrutinio di fine anno. Non è certo il frutto di un intento punitivo ne di una smisurata volontà di selezione ma della semplice presa d’atto che nelle condizioni date, nonostante l’impegno profuso, come docenti a cui quella classe è stata assegnata non siamo riusciti a portarne gran parte dei componenti agli obiettivi minimi indispensabili per andare avanti.
Come negare che un esito del genere rappresenta un parziale fallimento del nostro compito?
Un grave insuccesso di fronte al quale non possiamo e non vogliamo far finta di nulla. Ma pur assumendoci la nostra quota di responsabilità, sentiamo il dovere di levare un “grido di dolore” rivolto a quanti hanno a cuore il futuro dei nostri giovani e del nostro territorio per denunciare l’insostenibilità delle condizioni in cui siamo chiamati ad operare, non certo per costituirci alibi al riguardo, ma per evitare che tale situazione si trasformi in un’inesorabile deriva dell’istruzione professionale.
Condizioni, le cui criticità vanno peraltro poste in relazione alla specificità del nostro indirizzo di studio e della sua particolare utenza. Un’utenza che, salvo eccezioni, è generalmente vulnerabile, con alle spalle percorsi scolastici travagliati, difficoltà di apprendimento, labili motivazioni, condizioni sociali sovente svantaggiate e provenienza straniera in quota più rilevante di ogni altro indirizzo di istruzione .
In sostanza, uno specifico ed insostituibile presidio educativo. Una scuola “di frontiera”, tra l’istruzione e l’abbandono; tra i banchi della scuola e la ricerca di un posto lavoro.
E allora, non può sfuggire innanzitutto l’impossibilità di intervenire con efficacia su di un’utenza singolarmente così debole, con delle classi a dir poco numerose che sistematicamente superano, come nel caso denunciato, la trentina di studenti, per arrivare sino a trentasei, trentasette.
…Altro che percorsi individualizzati per modulare contenuti e stimoli mirati, se solo per memorizzare sino in fondo i nomi di tali variopinte moltitudini si impiega spesso non meno di un trimestre!
Come non comprendere, al contrario, quanto sarebbe necessario ed importante oltre al ridimensionamento delle classi, offrire ad ogni gruppo di docenti a cui le stesse vengono assegnate, un valido servizio di supporto, assicurato da adeguato personale interno, volto ad individuare precocemente e gestire con appropriatezza quei fattori psicologici e sociali che spesso rappresentano gli ostacoli all’instaurarsi di un sereno rapporto tra l’alunno e la sua scuola.
Così come non sarebbe certamente vano un significativo rafforzamento di quei servizi specialistici di “sportello” volti all’ascolto ed al dialogo con i ragazzi allo scopo di offrire loro una sponda valida che li supporti nel disagio psicologico.
Non si può inoltre tacere su come per effetto delle economie finanziarie operate nell’ambito delle scuola si siano gradualmente impoverite le dotazioni strumentali necessarie per mantenere quell’approccio laboratoriale della didattica, fondamentale per un indirizzo scolastico che dovrebbe essere caratterizzato ”dall’imparare facendo”. Una tendenza apparentemente inarrestabile che delude le aspettative dei giovani utenti, per molti dei quali proprio quel carattere operativo costituisce un’irripetibile occasione per riconciliarsi con la scuola nel suo complesso, per effetto della gratificante affermazione delle proprie abilità concrete.
Si potrà dire che assicurare le risposte ipotizzate ai problemi qui rappresentati comporta l’investimento di risorse ingenti; magari incompatibili in un momento come questo …ma come non comprendere la grande sproporzione tra i costi e i benefici di simili interventi.
Si è mai valutato adeguatamente il costo sociale ed economico correlato alla dispersione scolastica? Qual è il valore, per lui e per la sua comunità, del recupero scolastico di un giovane, altrimenti destinato ad un difficile inserimento nel contesto sociale e produttivo se non addirittura ad un possibile percorso deviante?
Purtroppo tutto ciò sembra sfuggire a coloro che, preposti a farlo, non solo non forniscono soluzioni ai problemi denunciati ma sembrano intenzionati a “risolvere” il problema alla radice, con lo smantellamento vero e proprio dell’istruzione professionale.
Infatti ci appare proprio distruttivo l’effetto combinato della riforma delle scuole superiori appena avviata e della norma approvata del Parlamento quattro mesi or sono per consentire l’assolvimento dell’obbligo scolastico anche attraverso l’apprendistato in luoghi di lavoro.
Da un lato la riforma, cancellando specifici indirizzi e discipline correlate ai nostri settori produttivi e riducendo drasticamente il carattere operativo del percorso scolastico “professionale” lo rende sempre più sovrapponibile a quello dell’istruzione tecnica.
Dall’altro la scelta di consentire che “un contratto di lavoro” possa essere formalmente idoneo a completare il percorso d’istruzione sembra non cogliere la natura e la portata della crisi che stiamo attraversando. Una crisi che richiede profonde e rapide trasformazioni non certo affrontabili con operatori e tecnici deprivati anche di un minimo bagaglio culturale e capacità di relazioni, indispensabili per affrontare processi di innovazione, che scuole come la nostra possono certamente offrire.
Sconcerta soprattutto che questa deriva si consumi nella distrazione generale delle Istituzioni e degli attori sociali ed economici del territorio, a cui probabilmente mai nessuno ha chiesto se tutto ciò va bene.
In conclusione, non intendiamo certo sopravvalutare la funzione che svolgiamo e che meglio vorremmo poter svolgere, ma più osserviamo la realtà che ci circonda in rapporto alla situazione delle nostre scuole e più ci sembra assurdo e irresponsabile che il nostro grido di dolore possa rimanere inascoltato!».
I docenti del I° Meccanici dell’IPSIA O.Ricci di Fermo:
Luigia Carli, Massimo Rossi, Floriana Serena, Fiorella Bianchi,
Antonietta Peroni, Annamaria Lisi, Marco Pompei, Enrico D'Uva,
Alessandro Pieroni, Mariangela Ercoli, Vincenzo Lambusta, Guido Pandoli.