2 giugno 1946, la monarchia divenne repubblica

2 giugno 1946, la monarchia divenne repubblica

La Monarchia ottenne 10.719.923 voti, la Repubblica 12.717.923

I giornali costavano 4 lire, il biglietto del tram 3, un chilo di carne 600 lire,e chi guadagnava ventimila lire al mese – circa dieci euro di oggi –era considerato ricco. Il Paese usciva da lutti e distruzioni della guerra ed il fatto di votare il 2 giugno con un referendum che avrebbe deciso il futuro del paese monarchia o repubblica entusiasmò la popolazione, in considerazione  che per la prima volta le donne erano ammesse al voto.
Vittorio Emanuele III era ancora sul trono ma molti esponenti di partito, dopo la sua “fuga” dell’8 settembre del 1943 ne pretendevano l’abdicazione. Secondo quanto ci dice lo storico Arrigo Petacco “il leader socialista Pietro Nenni,convinto repubblicano,temeva un colpo di mano del vecchio sovrano. Se avesse abdicato non a favore del figlio Umberto ma del suo omonimo nipotino ed affidato la reggenza alla principessa Maria Josè –nel passato fervente antifascista e benvoluta dal popolo-sicuramente avrebbe vinto il referendum”. Ma Vittorio Emanuele abdicò, anche se di malavoglia, a favore del figlio Umberto,ritenuto dagli italiani persona poco determinata, e si giocò il trono.
Così l’Italia al momento del voto si trovò divisa; monarchici erano i comandanti militari, dei carabinieri,della polizia e nei ministeri dai direttori generali fino all’ultimo usciere. Togliatti, leader dei comunisti temeva le regioni del sud  fortemente monarchiche. De Gasperi che capeggiava la Democrazia Cristiana temeva l’avanzata comunista. Nenni era il più determinato e paventava “o repubblica o il caos !.”  Pio XII aveva messo in guardia i fedeli su “l’incombente pericolo comunista”. Il 2 giugno furono chiamati alle urne ventotto milioni di elettori che dovevano votare due schede: una per il referendum e l’altra per la nomina dei rappresentanti alla Assemblea Costituente per la quale si contendevano i voti il Psi,la Dc, il Pci,il Pri,e partiti minori come L’Uomo qualunque destinati in seguito a svanire.
Nelle due  giornata elettorali  non si ebbero incidenti e tutto si svolse in un’atmosfera di festa. Il ministro degli Interni dell’epoca, il socialista Giuseppe Romita comunicò i dati parziali in maniera non particolarmente equilibrata e fu in seguito accusato di brogli. Al termine del conteggio la Monarchia ottenne 10.719.923 voti, la Repubblica 12.717.923 voti. Quelli nulli furono 1.498.136. Esaminando  attentamente come le regioni avevano votato, si vide come l’Italia fosse divisa in due. Votarono in maggioranza per la Monarchia la Puglia, la Sicilia,la Campania, la Calabria,la Sardegna, Basilicata, il Lazio e l’Abruzzo, per la Repubblica la Lombardia, il Piemonte, la Liguria, la Venezia tridentina – la Venezia Giulia contesa da Tito non votò – l’Emilia Romagna, le Marche, la Toscana e l’Umbria. La Democrazia Cristiana ebbe il maggior numero di seggi (207) seguita dal Partito socialista con 115, il Partito comunista che contava in una grande affermazione  risultò terzo con 104 seggi.
Il Partito monarchico racimolò 41 seggi, l’Uomo Qualunque 30 il Partito repubblicano 23 ed infine 16 andarono ai liberali. La Proclamazione si svolse il 10 giugno nella Sala della Lupa a Montecitorio ad opera del Presidente della Corte di Cassazione Giuseppe Pagano. Le cronache ci dicono che fu una cerimonia mesta, i risultati furono letti con esasperante lentezza ed al termine qualcuno gridò “Viva la Repubblica” ma fu subito zittito severamente dal Presidente con una ammonizione “qui non siamo a teatro”. Quindi raccolte le carte uscì dall’aula senza pronunciare altre parole.

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