Nel 1978 un latinista dell’università cattolica di Milano si accorse che su alcune foto della Sindone si intravedevano tracce di scrittura in caratteri greci, latini ed aramaico. Nel 1994 questi segni furono sottoposti ad accurati esami da un team di scienziati francesi dell’Institut Superieur d’Optique d’Orsay che riuscirono a mettere in luce alcune vere e proprie parole. Oggi, dopo ben nove anni di ricerche condotte dalla studiosa, che ricordiamo è funzionario e ricercatrice dell’Archivio Segreto Vaticano, grazie a confronti con i papiri del I secolo dopo Cristo e con le testimonianze dei graffiti di Pompei, anteriori al 79 d.C. ci lasciano capire che queste scritture risalgono inequivocabilmente agli inizi del I secolo.
Le scritte ci riconducono nella Gerusalemme del tempo di Tiberio ed inquadrano la sepoltura di un personaggio chiamato Yeshua Nazareni. Per la Frale che ne ha tracciato la storia in un precedente libro “I templari e la Sindone”, il telo di Torino è il bizantino Mandylion di Edessa. Non mancheranno certo coloro che accuseranno la ricercatrice di aver forzato le sue ipotesi per giungere ad una spiegazione clamorosa, ma lei lo mette in conto quando afferma “non ho voluto dimostrare verità di fede. Io sono cattolica ma tutti i miei maestri erano atei o agnostici e l’unico credente era ebreo. Il mio libro non si esprime sulla origine miracolosa o meno dell’immagine della Sindone, in quanto fin dall’inizio della ricerca mi sono imposta di lavorare come avrei fatto su un qualsiasi reperto archeologico”.
Così nel corso della presentazione siamo venuti a conoscenza che sulla Sindone sono state riscontrate ben settecento ferite sparse nel corpo dell’uomo crocifisso, che la tomba di Gesù era a Nazareth, che Pilato era stato ricattato dal Sinedrio per forzarlo ad emettere la condanna contro Gesù. Ma gli interventi dei numerosi studiosi presenti si sono concentrati sul tessuto che avvolse l’uomo crocifisso che fu acquistato nel tempio di Gerusalemme da Giuseppe di Arimatea, ci dicono le scritture e secondo l’autrice del libro questo tessuto era quello dell’abito indossato dal Sommo Sacerdote quando questi nelle cerimonie sacrificali “si congiungeva con Dio”.
Un tessuto così prezioso che copriva un suppliziato significava dare al cadavere un attributo di Sommo Sacerdote. Questa serie di deduzioni unite a quanto contenuto nel libro, "è l’anello di congiunzione – conclude la Frale – tra dati della storia e racconto del Vangelo. Io - prosegue la ricercatrice - ho incontrato un documento archeologico che parla della condanna e della sepoltura di un uomo di nome Yeshua Nazareni a lui ho intitolato il mio lavoro. Se quell’uomo fosse anche il Cristo, il Figlio di Dio, non è compito mio stabilirlo”.