Lo scultore ha realizzato da un unico blocco di travertino di Acquasanta alto 140, profondo 130 e largo
120 cm. l’ambone a forma poligonale che richiama la liturgia cristiana, cioè è inteso come luogo privilegiato per l’annuncio della parola dell’Evangelo che scende dal cielo. L’autore, volutamente, non ha scelto il modello dell’ambone squadrato, secondo l’iconografia tradizionale, legata alla simbologia della tomba vuota, ma quello del contenitore organico di messaggio che ricorda vagamente l’uovo, infatti l’interno ha una struttura ruvida e spugnosa che evoca le viscere della forma organica.
L’Angelo si stacca dal fondale grezzo, nella sua gestualità richiama la figura del Cristo Pantocrator, con la mano sinistra regge il libro delle scritture del Vangelo, mentre con la destra indica il cielo.
Le tre dita unite simboleggiano la Santissima Trinità, mentre le altre due stanno ad indicare le due nature di Cristo, perché formano, secondo la tradizione della chiesa ortodossa, il monogramma greco di Cristo (Jesous Christos).
La figura celeste sembra venuta giù dal cielo come un meteorite e, nell’impatto con la terra i suoi capelli sono ancora levati verso l’alto e la sua veste si è sollevata nella parte bassa assumendo la forma di un grande Calice. La luce invade l’Angelo e lo modella attraverso vaste superfici con un possente chiaroscuro, sia nella parte alta mettendo in evidenza il collo ed il volto sereno, sia nella parte bassa ove la veste si innalza creando una specie di antro e si ripiega su stessa a forma de l’infinito (greca) che secondo la tradizione popolare mediterranea era il simbolo che univa l’umanità con lo spazio e, nella parte destra si ripiega a zig-zag evocando la forma arabescata delle costellazioni del cielo.
L’autore ha collocato il simbolo dell’infinito in prossimità del piede destro dell’Angelo per simboleggiare il percorso virtuoso che l’uomo deve intraprendere per raggiungere il cielo cioè la divinità; le pieghe a forme di costellazioni sono un chiaro richiamo ai popoli primitivi che vedevano nelle stelle la prima manifestazione del divino.
L’artista in questa opera evidenzia una raggiunta maturità espressiva sia nell’impiego sapiente della tecnica plastica, che nella capacità di rivisitare in chiave moderna un tema classico della tradizione cristiana con una forte originalità espressiva.
G.Tavanxhiu come dice il critico Renzo Margonari è un fantastico ibridatore di linguaggi e di forme: “artista, che … nelle sue opere associa alla rinomata tradizione in cui è venuto a radicarsi l’annessione degli antichi valori della propria, non ancora adeguatamente conosciuti in questa parte dell’Europa”.