Presentazione del libro di Fernando Galiè. Introdurrà l'incontro Gino Scatasta
Fernando Galiè. «Perché ho scritto questo libro:
1. Opportunità di lasciare una testimonianza del nostro passato.
2. Necessità di fare una riflessione sulle nostre esperienze di vita e trarne le conseguenze della nostra attività di cittadini e lavoratori.
Cose positive: lotte per i diritti civili: il femminismo, il divorzio, il diritto all’aborto assistito, la carta dei diritti dei lavoratori, il ’68 e la lotta ai baroni all’università(7 cattedre, mai presenti alle lezioni o esami…).
Sembrava che eravamo in prossimità di una rivoluzione sociale e politica. C’era la DC e la politica clientelare… sono passati 40 anni e ci ritroviamo con Berlusconi ter e questi non hanno neppure il minimo senso del pudore, nel considerare lo Stato, la res pubblica come una cosa privata, una fonte di arricchimento, una ricchezza da rapinare. Dove ci siamo sbagliati? Io non ho soluzioni da dare, qualche volta cerco di fare qualche riflessione, ma più come un invito a farle insieme al lettore che come ‘l’esperto, l’addetto ai lavori’ che sa la soluzione dei problemi. Leggere questo libro, rivivere il mondo degli anni del dopoguerra, anche dal ristrettissimo osservatorio che può avere una persona comune come me, a cui non è successo nulla di eccezionale, può aiutare a fare un bilancio, a ripensare alle nostre scelte di vita, a riflettere.
Sicuramente un errore che abbiamo fatto è di aver parlato poco ai nostri figli e nipoti di come vivevamo, ci siamo vergognati della nostra povertà, ci siamo sentiti superati dalla nuova tecnologia, dai computers, i cellulari, la maggiore capacità economica, il superamento di molti tabu’, la libertà sessuale,… per avere il coraggio di rappresentare il nostro passato e i suoi valori, come se l’onestà, la legalità, il rispetto per le persone e per i ‘vecchi’, per i propri genitori, per gli insegnanti, non siano valori universali e immutabili. Giustamente abbiamo lottato contro l’autoritarismo, ma abbiamo finito con annullare l’idea di autorità e di cadere in una specie di anarchia che ci ha impedito di dire no a qualsiasi richiesta dei nostri figli, anche quando le consideravamo ingiuste e ci creavano ansie e dispiaceri. In un certo senso abbiamo rinunciato al nostro ruolo di educatori all’interno della famiglia e nella società. Non è accettabile che nel giro di una generazione siamo passati dal fatto che noi figli, studenti, avevamo sempre torto, ad una situazione, come l’attuale, in cui i nostri figli decidono anche il tipo di macchina che vogliamo acquistare e gli studenti sono sempre vittime di insegnanti che non li comprendono. Non è ammissibile che noi, la nostra generazione, ha sofferto e si è sudata ogni piccola conquista e quella attuale rifiuta ogni sacrificio e pensa che tutto gli è dovuto. Questo edonismo sfrenato, alla “americana” non può essere positivo, non è naturale, non appartiene al nostro mondo di valori e tradizioni che ci ha sempre visto legati agli altri, alla famiglia, agli amici, alla comunità, al senso di solidarietà.
Se avessimo parlato di più ai nostri figli e avessimo raccontato quanti sacrifici abbiamo fatto per acquistare la prima casa, forse non la considererebbero troppo modesta. Se avessimo detto quale privilegio era per noi poter studiare, forse rispetterebbero di più la scuola che frequentano con fastidio e noia. Se avessimo raccontato quante cambiali abbiamo firmato per comprare la prima macchina, forse non andrebbero in crisi se non ne compriamo una nuova. Se avessimo parlato di quanta abilità le nostre mamme avevano nel riciclare i vecchi vestiti per adattarli ai figli che crescevano, forse avremmo evitato questa civiltà dello “usa e getta” che ha impoverito le risorse del pianeta e lo ha riempito di immondizia. Se li avessimo informati della fatica del lavoro e quanto è difficile mettere da parte qualche soldo, forse ci rispetterebbero di piu’ e non farebbero una tragedia se non li mandiamo in discoteca il sabato sera. Se avessimo raccontato come era bello vivere in una famiglia numerosa, con nonni, zie e cugini,dove non ci si sentiva mai soli, forse avremmo evitato che i nostri figli se ne andassero da casa per fondare una nuova famiglia. Che, certo, all’inizio, è molto stimolante per una nuova coppia, ma quando arriva il primo figlio e la sequela di bollette da pagare e l’asilo da trovare e la spesa da fare, non sembra più tanto una liberazione quanto un assillo, una preoccupazione che ci rovina la gioia di vivere e ci fa rimpiangere la vecchia casa paterna rimasta semi vuota con i vecchi genitori sempre più soli e tristi. Insomma, se avessimo avuto più coraggio e riconoscere che, in fondo, la nostra giovinezza non era stata un fallimento, certamente avremmo evitato o, almeno, ridotto l’insoddisfazione dei nostri figli che sembrano non avere altri valori all’infuori del successo economico e mediatico e si distruggono con la droga e lo sballo».