Nessuno sponsor italiano ha voluto vestire gli interpreti di colore
che dopo “La bestia nel cuore” – nominato agli Oscar come miglior film straniero 2006 – affronta nuovamente un tema caldo. Sul grande schermo, questa volta, proietta la coppia mista.
La storia si svolge a Roma e racconta di un uomo sposato che s’innamora follemente di una donna di colore a sua volta impegnata. Entrambi hanno dei bambini ma travolti dalla passione cadono in un intreccio di “sentimenti”, di “sensi di colpa” verso le rispettive famiglie e di “ pregiudizio” prodotto dal colore della pelle. L’interprete maschile è lo scrittore Fabio Volo – Carlo: informatico di umili origini – mentre le protagoniste femminili sono rispettivamente: Ambra Angiolini, moglie di Carlo – Elena, mediatrice culturale, impegnata in un’associazione umanitaria per l’Africa, di famiglia alto borghese e sottilmente razzista - e l’attrice francese Aissa Maiga – Nadine, moglie di un collega senegalese di Elena. Il film di produzione Rai Cinema e Cattleya, affronta il tema più vecchio del mondo in chiave contemporanea, il razzismo. L’unione tra bianchi e neri, sempre più frequente nella società multietnica, analizzata il fenomeno denudandolo da falsi moralismi e impersonando il pregiudizio, dalla forma liberamente dichiarata a quella ipocritamente rifiutata.
L’idea nasce al ritorno dal viaggio in Africa della regista, dove ha girato il documentario “Il nostro randa”, e dove ha incontrato Jean Leonard Touadi – storico e giornalista sposato ad una donna italiana e con tre bambini. Da quest’esperienza la Comencini sceglie il tema del suo prossimo lavoro. La stessa dichiara: «Mentre l’intervistavo sul Rwanda, vedevo i bambini e la moglie passare nel corridoio, su un comò c’era la fotografia del loro matrimonio, la casa non aveva niente di etnico o del nostro modo di intenderlo. Così gli ho fatto le mie osservazioni e ridendo mi hanno raccontato i luoghi comuni che gli italiani dicono sulle coppie miste. La stessa cosa mi è capitata a cena della mia amica Jeanne, rwandese e anche lei nel gruppo del viaggio. Jeanne è sposata con un italiano, hanno anche loro due bambini. Durante la cena abbiamo chiacchierato di figli, di scuole, di matrimoni. Ho pensato che fosse la prima volta che avevo degli amici neri e che sarebbe stato bello raccontarli in una storia d’amore, fuori dal pietismo umanitario, dall’idea di una nostra silenziosa superiorità, di una loro dipendenza». Così la chiave di lettura del film è stata affidata alla battuta di Fabio Volo: «perché non abbiamo nessun amico nero?».
E se di razzismo pare soffrano le classi medio-basse, almeno secondo i dati registrati da numerose ricerche sociologiche, questo film smonta ogni valore socialmente cristallizzato. Emerge dalla conferenza stampa di presentazione dell’opera che nessuna casa di moda abbia voluto vestire i due interpreti di colore del film. Stranezza inspiegabile e difficilmente non ascrivibile al razzismo seppur dissociandosi pubblicamente e commercialmente dal concetto stesso. E si sfoga Cristina Comencini che sembra confermare tale riflessione: «Non c’è stato nessuno sponsor italiano che ha voluto sponsorizzare gli africani. È una cosa assurda e fa capire come sia lontana l’immagine degli africani da noi. Mentre ho trovato gli sponsor per gli attori italiani, anche per le piccole cose che servono per fare un film, nessuno ha voluto investire sugli africani. Ma, se ha dato fastidio a loro significa, che il film funziona».