La materia è stata regolamentata dall’articolo 4 del decreto legge 138/2011 (convertito in legge il 14 settembre 2011, n. 148) ed è stato oggetto di una mozione dell’Assemblea legislativa delle Marche (la 210/11) con la quale la Giunta regionale veniva “impegnata” a proporre ricorso costituzionale. La normativa statale mira a limitare fortemente la possibilità dell’affidamento “in house” dei servizi pubblici locali, fornendo una nuova disciplina che, secondo le Marche, presenta diversi profili di incostituzionalità, in quanto viola competenze che la Costituzione affida alle Regioni. Sostanzialmente l’articolo 4, pur escludendo dalla sua applicazione il servizio idrico integrato (oggetto del referendum popolare del giugno scorso), obbliga a privatizzare, entro metà marzo del 2012, tutti gli altri servizi pubblici locali. Le Marche ritengono che la normativa nazionale, limitando fortemente la possibilità di ricorrere all’affidamento in house, eluda l’esito della consultazione referendaria, riproponendo, di fatto, quanto già abrogato. Inoltre alla Regione vengono sottratte prerogative costituzionali “residuali, in materia di servizi pubblici locali”, affidandole agli enti locali che possono scegliere il regime giuridico dei servizi (liberalizzazione o l’esclusiva) e la verifica del contratto di servizio. Altra violazione, secondo la Regione, riguarda la nomina degli amministratori di società partecipate dagli enti locali.