E mentre per il Lazio sono le industrie culturali a fare la parte del leone, nel caso di Marche e Veneto sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative) a fornire un contributo fondamentale. E’ quanto emerge dallo studio condotto da Symbola nella pubblicazione ‘L'Italia che verrà - Industria culturale, made in Italy e territori”, illustrato oggi al Fortino Napoleonico di Portonovo, alla presenza dell’assessore regionale alla Cultura Pietro Marcolini, del segretario generale di Symbola Fabio Renzi e di Cristiana Colli dell’Ufficio Ricerche.
Realizzato insieme ad Unioncamere e con l’apporto scientifico dell’Istituto Tagliacarne, è il primo rapporto in Italia a quantificare il peso della cultura sull’economia nazionale, dal quale si evidenzia con forza che l’industria culturale rappresenta il 5% della ricchezza prodotta (4,9%, per l’esattezza: 68 mld di euro) e dà lavoro a un milione e mezzo di persone (il 5,7% dell’occupazione nazionale). Superiore, ad esempio, al settore della meccanica e dei mezzi di trasporto. Una risposta efficace dunque a chi sostiene che la “cultura non dà da mangiare.”
“Quello delle Marche è un risultato molto confortante – ha evidenziato l’assessore Pietro Marcolini - che non solo invita a proseguire, ma convalida il percorso virtuoso avviato in questa legislatura sulla Cultura, secondo la metodologia di una moderna spending rewiew per far fronte non solo a situazioni di stress dei conti pubblici, ma soprattutto per comprendere quale sia l’effettivo ruolo e peso di un’attività economica, quale quella intitolabile alla Cultura, che attraversa svariate branche di attività della consueta nomenclatura statistica.
Con l’assestamento del bilancio 2010 e l’approvazione del bilancio 2011 la Regione Marche ha già avviato questa impostazione, da seguire sistematicamente ogni anno, superando un approccio prevalentemente incrementale nelle decisioni dell’allocazione delle risorse con un riesame sistematico di tutte le voci di spesa. In materia di politica culturale abbiamo investito risorse per valorizzare i contenitori culturali nei centri storici, per trasformare musei e biblioteche in centri di aggregazione, per sostenere le sale cinematografiche minori e dei centri urbani, per rilanciare un concetto nuovo di cultura come leva dello sviluppo, sicuramente per la sua ricaduta turistica, ma anche per una idea di sviluppo in cui la conoscenza applicata innerva persino il manifatturiero. Dai dati di questa ricerca, dunque, ci accorgiamo non solo che la Cultura è soft economy, ma soprattutto che questa non è più qualcosa di marginale, perché è evidente come la crescita sia costante negli anni e quanto incida in maniera determinante sullo sviluppo del Paese. Siamo convinti – ha concluso l’assessore - che la Cultura, oltre ad essere la più bella e sana industria del Paese, riassuma la sostanza di un’economia della qualità, in grado di coniugare competitività e valorizzazione del capitale umano, crescita economica e rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, produttività e coesione sociale”. Non solo a livello regionale le Marche emergono molto positivamente da questo studio, ma anche come capoluoghi, ben due, infatti, stanno nei primi dieci. Pesaro e Urbino contano sul valore aggiunto della cultura per un 7,5%, molto vicino ad Arezzo (prima città con l’8.5%), quarta dietro Pordenone e Vicenza e davanti a città come Pisa, Treviso, Milano, Roma, Firenze. Poi Macerata in questa top ten, al decimo posto, con il 6.7% dove la media italiana è del 4,9%. “E’ significativo che dietro il Lazio - con Roma e i suoi straordinari patrimoni archeologici, storici, culturali, sede di attività teatrali e musicali di livello internazionale e di aziende come la Rai – si piazzino seconde a pari merito le Marche e il Veneto tra le Regioni che vedono una maggior incidenza della cultura sulla loro economia. Un dato confermato dall’ottimo piazzamento di Pesaro-Urbino e di Macerata nell’analoga classifica delle Province. Frutto in particolare del contributo di quelle industrie creative alle quali ricorrono sempre più imprese e settori produttivi – sottolinea Fabio Renzi, Segretario Generale di Symbola - soprattutto del nostro made in italy. Si spiega così che i territori dei distretti manifatturieri siano quelli dove maggiore è il valore aggiunto della cultura sull’economia.
La ricerca conferma quindi come la cultura richieda maggiori attenzioni e investimenti proprio per il contributo che già oggi assicura all’ economia nazionale e dei territori”. Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane o negli studi professionali. Il rapporto Unioncamere e Symbola è quindi un viaggio tra cultura, creatività, ingegno e saper fare, dove si osservano ottime performances per alcuni settori come il made in Italy, mass-media e performing arts. Crescono le industrie creative (architettura, design, Made in Italy, comunicazione e branding), con un +2,9% di valore aggiunto e un +1% di occupazione.
Risultati analoghi per le industrie culturali (mass-media, musica, videogiochi) con un +2,5% di valore aggiunto e uno +0,7% di occupazione. Notevole l’espansione delle perfoming arts e delle arti visive, che nel triennio fanno registrare +9,3% di valore aggiunto e +4,3% di occupazione. Segno meno, invece, per le imprese legate al patrimonio storico-artistico: -8,7% in valore aggiunto e -0,6% di occupati.