Dico, la vittoria di una lobby

Dico, la vittoria di una lobby

Il presidente della Comunità di Capodarco e i suoi dubbi in una lettera sul blog

Nel mese scorso l’ISTAT ha pubblicato i dati sulle famiglie in Italia con riferimento al 2003. La diminuzione del numero dei matrimoni è costante dal 1999 al 2003: da 280.330 a 264.097. E’ stagnante l’indice di natalità già da vari anni, collocandoci al penultimo posto in Europa. Logica avrebbe voluto che questo “grave problema” fosse stato avvertito dal governo, offrendo un significativo pacchetto di sostegno economico e sociale alle famiglie. Nonostante la finanziaria, l’attenzione alla famiglia è oggi insufficiente a invertire il trend negativo.
Da questo punto di vista hanno ragione i Vescovi italiani a lamentare la scarsa attenzione; cosa che per la verità non hanno fatto con ugual forza con il precedente governo, nonostante avesse sostenuto ancor meno le famiglie.
Solo nel quadro di un fortissimo impegno per le famiglie avrebbe avuto senso “legiferare” anche sulle unioni di fatto, in quanto nuclei comunque significativi e rilevanti.
Che senso ha porre l’attenzione sul 5% dei diritti delle situazioni precarie, dimenticando la sostanza dei problemi? La sensazione esterna è che la lobby potente di pochi - come spesso accade - abbia rivendicato per sé diritti, dimenticando le condizioni reali dei più. Per un governo attento alle uguaglianze sociali si tratta di un errore grave.
Per quanto concerne la stabilità, è fuori bersaglio l’esortazione della gerarchia ecclesiastica a non legiferare su forme diverse di unione, quasi che l’eventuale silenzio statale possa ritardare la crisi delle famiglie regolari. Credo che l’intervento dello Stato possa essere solo marginale e non sostanziale.
La concezione della famiglia in Italia è già in cambiamento da dieci anni: metà delle famiglie italiane, in alcune parti del paese, non è più religiosa. Le separazioni che sono in costante crescita dal 1999 e che rappresentavano il 23,15% nel 1999 per arrivare al 30,95% nel 2003, possono essere solo in parte limitate da una forte politica di sostegno alle famiglie.
I matrimoni civili avevano raggiunto nel 2003 il 29,4% dei matrimoni celebrati (erano il 23% nel 1999). Con una particolarità: in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige,Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana i matrimoni religiosi rappresentavano solo il 50,85%, quelli civili il 49,15%.
I credenti per recuperare il senso della famiglia cristiana debbono rivolgersi ad interlocutori diversi dal governo, al quale resta solo l’obbligo di sostenere la formazione e la stabilità sociale delle famiglie italiane per il bene del paese.
Ringrazio per l’attenzione e saluto cordialmente

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