Il sequestro è stato disposto sia sul prodotto e profitto dei reati di contraffazione e auto-riciclaggio, ma soprattutto sull’ammontare complessivo del patrimonio mobiliare e immobiliare riconducibile agli indagati, di gran lunga sproporzionato rispetto ai modesti redditi dichiarati.
A tal riguardo, si pensi che nel corso delle indagini, nei confronti del principale indagato, i finanzieri avevano rinvenuto e sequestrato, opportunamente stipati in 5 cassette di sicurezza detenute in vari istituti bancari, oltre 1,6 milioni di euro in banconote di vario taglio.
Contemporaneamente, in ben 15 regioni italiane e nella Repubblica di San Marino, gli altri Reparti della Guardia di Finanza, opportunamente attivati, e le Autorità Sammarinesi, in regime di rogatoria, stanno dando esecuzione, alla restante parte del provvedimento del GIP, che ha disposto altresì il sequestro, su tutto il territorio nazionale dei circa 500 mila capi d’abbigliamento illecitamente commercializzati dalle società coinvolte e relativi alle seguenti griffe: (Thrasher, Adidas, Fila, Vans, Nike, Gucci, MC Donalds, Lacoste, Supreme, Vetements, Pyrex, Rolex, Don Perignon, Balenciaga, Stan Smith, New balance, Tommy, Dior, Nike, Levi’s, Hermés, Moet et Chandon).
L’articolato provvedimento magistratuale giunge al culmine delle complesse indagini avviate nell’ottobre 2017 dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Rimini che hanno consentito di ricostruire un sofisticato meccanismo di frode grazie al quale gli indagati hanno prodotto e commercializzato centinaia di migliaia di capi d’abbigliamento contraffatti, utilizzando l’escamotage della fraudolenta registrazione a San Marino di marchi già esistenti e internazionalmente tutelati.
Le indagini, in poco più di un anno, hanno consentito di denunciare alla magistratura 35 soggetti; individuare i canali di produzione, stoccaggio e vendita del materiale contraffatto, con imponenti sequestri sia in Italia che a San Marino e ricostruire i flussi finanziari delle illecite vendite di
prodotti contraffatti,consentendo, da un lato, di quantificare l’ammontare dei profitti illeciti realizzati dagli indagati (stimato in circa 2 milioni di euro in pochi mesi di attività) e, dall’altro, in relazione al reimpiego in azienda dei citati profitti, di contestare il reato di auto-riciclaggio.