Roma - I pellegrini che percorrono il lato
destro di Piazza San Pietro diretti verso la Basilica,raramente si
soffermano a leggere una piccola lapide incastonata nel selciato, a
lato del colonnato, che indica il punto esatto nel quale Giovanni
Paolo II il 13 maggio del 1981 fu gravemente ferito dal proiettile
sparato con una Browning calibro 9 da Alì Agca.
Quel giorno,ricorrenza della prima
apparizione della Madonna ai pastorelli di Fatima, il Papa a bordo
di una Fiat Campagnola bianca scoperta, percorreva la piazza per
salutare le migliaia di fedeli giunti da tutto il mondo quando ad un
tratto risuonarono due spari. Il primo proiettile raggiunse il
Pontefice all’addome, attraversò l’osso sacro ed uscito dai
lombi colpì al torace una pellegrina americana, il secondo proiettile
gli fratturò l’indice della mano sinistra e lo ferì di striscio
al braccio destro appena sopra il gomito, ferendo poi al braccio
sinistro un’altra turista statunitense.
In quegli istanti tutta la scena veniva
data in diretta dalla televisione.
Milioni di persone furono testimoni di
questo attentato. Proprio in quel momento a Roma, nella loro casa di
Monteverde, quartiere adiacente San Pietro, tre bambine
Livia, Flavia e Marzia seguivano sul televisore la scena. Un urlo si
levò dopo gli spari “Mamma hanno sparato al Papa !”. La madre, la
signora Mirella, seppe subito cosa fare in quella terribile circostanza .
“ Mio marito, il
prof. Pietro Balloni, - racconta la signora Mirella - all’epoca era il primario
del Centro Trasfusionale dell’Ospedale Bambino Gesù. Telefonai subito alla sua assistente
informandola che avevano sparato al Papa e di avvertire mio marito che Giovanni Paolo II stava per essere trasportato al Policlinico Gemelli.”
Il Santo Padre aveva un gruppo
sanguigno raro: A negativo e quindi era stato deciso in Vaticano di
tenerne una riserva a disposizione presso il vicino Ospedale Bambino
Gesù. Messo al corrente della grave
situazione, il primario dette l’ordine all’ambulanza di partire
a sirene spiegate con i cinque unici flaconi di sangue di quel tipo.
Questo sangue il prof. Balloni lo aveva
preso nelle varie parrocchie di Roma e dintorni dove la domenica, su
autorizzazione del Vaticano, provvedeva, grazie ai vari donatori, a
raccoglierlo per salvare i bimbi in cura presso il suo ospedale.
“Una volta - ci confida Balloni - ad un bambino ho dovuto dare ben 62 unità di sangue.”
La sua attività di raccolta del sangue
era iniziata sin dal 1969. Contemporaneamente all’ambulanza con
il Santo Padre, arrivava al Policlinico Gemelli anche l’auto
dell’Ospedale Bambino Gesù. Gli autisti si facevano largo tra la
folla gridando “abbiamo il sangue per il Papa”.Quel sangue fu provvidenziale perché,
probabilmente, senza di esso il Papa sarebbe morto dissanguato.
Il prof. Guzzanti, direttore sanitario
del Bambino Gesù, raccontò poi al prof. Balloni che per una
circostanza fortuita era in corso al "Gemelli" un simposio di
cattedratici. Uscirono tutti dalla sala per
attendere l’arrivo del Pontefice. Tra questi professionisti c’era il Ministro
della Sanità che all’arrivo dell’auto che trasportava il sangue
rivolgendosi a Guzzanti fece la battuta “Già qui ? Ma allora
voi lo sapevate”.
Dopo la sua guarigione il Papa seppe
dal prof. Buzzonetti, archiatra pontificio, del ruolo avuto nella
vicenda da Pietro Balloni. Giovanni Paolo convocò privatamente il medico con sua moglie, la signora
Mirella, e nel corso del breve colloquio gli disse:”debitores
sumus”, insignendolo del Cavalierato dell’Ordine di San Gregorio
Magno.
“Il Santo Padre - dice la signora
Mirella - era particolarmente devoto alla Madonna: sicuramente c’è
stato il Suo intervento”.
Ricordando quel giorno, Pietro Balloni
non nasconde la sua commozione: “Sono successe tante piccole cose
che messe insieme hanno permesso che Lui potesse essere salvato. Se
non si fossero trovate quelle sacche con quel tipo di sangue e se
l’ambulanza fosse partita con un attimo di ritardo trovando le
strade intorno a San Pietro congestionate, probabilmente la situazione
sarebbe stata ben più drammatica”.
Resta il fatto che non si saprà mai
da quale parrocchia giunsero quelle cinque unità . L’importante è che delle persone
hanno dato ad un Santo il loro sangue perché vivesse.