Si tratta della discarica abbandonata da anni che con i suoi rifiuti rischia di avvelenare l’intero quartiere Agraria di Porto d’Ascoli e non solo.
Gli spunti giornalistici su questa vicenda partono dal racconto di un dipendente della discarica che però ora è deceduto. La notizia è vera oppure è una bufala?
Legambiente a scanso di equivoci ritiene comunque che le Autorità competenti a sciogliere un dubbio del genere debbano attivarsi e lancia un appello alla Procura della Repubblica perché verifichi.
Intanto dai documenti della Provincia relativi alla Piattaforma Ecologica, si apprende che nel sito sono presenti rifiuti pericolosi e altamente infiammabili come potassio persolfato e resine a scambio ionico. E’ dunque ampiamente dimostrato che la discarica è stata gestita in maniera scriteriata e nell’assoluta noncuranza delle leggi ambientali vigenti e non a caso la Provincia ha minacciato nel 2006 e nel 2009 la Piattaforma Ecologica di revoca dell’autorizzazione per illegale trattamento dei rifiuti.
Come se ciò non bastasse un ulteriore elemento rischia, nel caso venisse confermato, di dare dei contorni ancora più preoccupanti all’intero scenario, ovvero il timore che nel sito siano presenti rifiuti radioattivi. Già nel 2002 fu presentata un’interrogazione parlamentare da parte dei deputati Ermete Realacci e Valerio Calzolaio, in merito alla presenza di grafite radioattiva nello stabilimento della Sgl Carbon di Ascoli Piceno. Tutto nasceva da una vicenda di alcuni anni prima, cioè da un articolo del quotidiano La Repubblica del 13 giugno 1998 (a firma di Antonio Cianciullo), nel quale, in riferimento a episodi di materiali radioattivi adoperati in diverse imprese italiane, si leggeva: “Problemi giudiziari pure per una fabbrica di Ascoli Piceno, la Sgl Carbon che produce elettrodi per le acciaierie, anche se in questo caso non è chiaro il motivo della contaminazione.
Comunque, dopo le proteste degli operai, sono stati compiuti controlli della Usl che hanno portato al sequestro di partite di grafite radioattiva”.
Il caso della grafite radioattiva era nato infatti dal sequestro di un carico di grafite radioattiva nel 1997 al valico di Gorizia, e da questo sequestro partirono tutta una serie di indagini che portarono al ritrovamento e al sequestro di un carico di grafite radioattiva anche all’interno dello stabilimento Sgl-Carbon. Ne nacque uno scandalo che interessò le cronache locali e non solo e che Legambiente denunciò e documentò con una ricostru- zione puntigliosa nel suo Dossier sull’ “Affaire della Grafite Radioattiva”.
Nel dossier di Legambiente del 1997 e nell’interrogazione parlamentare del 2002 si chiedevano approfondimenti in merito alla presenza di grafite radioattiva nello stabilimento Sgl Carbon di Ascoli Piceno, grafite poi sequestrata dopo un controllo della Asl 13.
A quel tempo i sindacati si impegnarono subito nel cercare di verificare se vi fossero rischi per i lavoratori, in 16 furono mandati per controlli presso l'Enea di Roma e per fortuna non risultò alcuna contaminazione.
L'Arpam piceno (allora Multizonale) fece uno studio, c'era il dottor Ernesto Corradetti ad occuparsene, che individuò una causa interna nel processo di produzione che faceva “ancorare” sulla superficie esterna del prodotto lavorato una carica radioattiva.
L'Istituto superiore della Sanità commissionò poi uno studio sulla grafite che concluse per una contaminazione del materiale da uranio impoverito.
Dove si fosse generata questa contaminazione stavolta esogena non venne mai scoperto. Nelle conclusioni dello studio si legge che “le analisi chimiche svolte concordano tutte a concludere che i campioni di grafite presentano una radioattività non di origine naturale, che la grafite contiene uranio sottoposto a processi di separazione chimica e isotopica e che quindi in conclusione la contaminazione è una contaminazione da uranio impoverito”.
Lo studio poi si conclude dichiarando che “le quantità in gioco erano tali da non costituire un rilevante problema radioprotezionistico e da non richiedere generalmente l’adempimento di obblighi derivanti dall’applicazione della normativa vigente” visto che l’ambiente in cui era presente la grafite (ovvero lo stabilimento SGL Carbon) era sufficientemente protetto e controllato.
Lo studio tuttavia rileva anche che: “se in un altro insediamento produttivo o altro luogo di lavoro si riscontrasse una parte consistente del materiale immagazzinato con concentrazioni di attività elevate come quelle riscontrate in alcuni campioni sottoposti a misura, potrebbe sussistere un rischio non trascurabile di esposizione dei lavoratori alle radiazioni”.
Quest’ultimo assunto in particolare, visto lo stato di assoluto degrado e abbandono della Piattaforma Ecologica di Porto d’Ascoli, desta una certa preoccupazione e genera il dubbio che, nel caso le dichiarazioni dell’ex dipendente fossero vere, la grafite presente con tutta probabilità proverrebbe proprio dalla Carbon e, trovandosi in condizioni di stoccaggio inadeguate e pericolose, rappresenterebbe, proprio come descritto dallo studio dell’Istituto Superiore di Sanità, un pericolo di contaminazione da radiazioni.
A questo punto chiediamo che venga fatta chiarezza sull’intera vicenda. Spetta ora alle autorità preposte il compito di individuare i responsabili di questo ennesimo scempio ambientale, ma anche la messa in sicurezza del sito e l’individuazione dei materiali tossici, pericolosi e radioattivi ivi presenti.