Zarepta, il lato della strada dove nessuno guarda

Zarepta, il lato della strada dove nessuno guarda

Bonelli: Siamo un ammortizzatore sociale. I nuovi poveri raccontano le loro storie

Ci racconta tutto Agostino Bonelli, da cinque anni presidente della Onlus, ora possiamo capire meglio cosa fa Zarepta. “Questo posto negli ultimi sei o sette mesi – dice Bonelli – ha provato a dare sostegno a circa sessanta persone al giorno, una cifra a cui sinceramente non eravamo abituati”.
Era impensabile eppure negli ultimi sei o sette mesi chi di noi non ha fatto qualche sacrificio? E qui gli sguardi riflettono sconforto e disagio. Per lo più ci troviamo di fronte a persone sole, extracomunitari, tossicodipendenti, alcolisti, persone con problemi psichici ma tra loro esiste un’altra realtà che forse non avrebbe mai immaginato di passare di qui.
“Ho quasi la certezza che  vi siano persone colpite dalla crisi tra quelle che vengono a mangiare – dice Bonelli – ma è evidente che provino disagio a trovarsi qui. Hanno ancora una dignità da tutelare”. Il nostro scopo era di verificare se gli utenti di Zarepta fossero cambiati a causa del periodo di crisi: quale fosse il comportamento dei nuovi poveri. Magari riuscire a parlare con loro della loro storia.

È quasi l’ora del pranzo. La sala a stento contiene le persone che attendono fuori. Sono circa  cinquanta. Capiscono che in realtà non siamo lì solo per mangiare: vogliamo una testimonianza del loro bisogno, vogliamo parlarne con loro. L'atmosfera cambia: i loro occhi fissano le scarpe, vediamo mani che girano nel vuoto, tutti chinano la testa per sfuggirci, per non parlare con noi. C'è però una simpatica signora che sostiene di conoscerci. Al contrario degli altri è espansiva. Grazie a lei riusciamo ad introdurci nel gruppo.
Dalle cucine i volontari annunciano il primo pasto: si va a tavola. Sembra proprio di essere in una grande famiglia. Si parla del più e del meno: del terremoto che domenica ha colpito l’Emilia Romagna, del tempo, commentano il cibo. Finiscono di mangiare, portano il loro vassoio verso la cucina, salutano tutti e se ne vanno. Ritrovarsi qui giorno dopo giorno forse li aiuta a non pensare troppo.
Un uomo ha finito di pranzare. E' evidentemente innervosito dalla nostra presenza. Si avvicina e dice: “Non ho nulla contro di voi, ma se poi io parlo come potete risolvere i miei problemi?”. Una domanda che spiazza. Cosa lo fa stare così male? Comunque alla fine ci racconta di sé. Si chiama Mauro. E' un quarantenne single, non vive bene, si sente abbandonato da tutto e da tutti. “Ho bisogno di una donna – dice – qualcuno che riesca a prendersi cura di me”.  E' laconico, non dice di più. Preferisce andare e lasciarci il suo numero di telefono.
Poco dopo entra un altro uomo. Eravamo certi che non fosse né un bisognoso né un emarginato. Cerchiamo di avvicinarlo ... è restio, riesce a dirci soltanto: “Cosa volete che vi dica…stiamo male”, poi con un mesto sorriso in volto si avvia verso la sala da pranzo.
Per capire le realtà di queste persone che sono in mezzo a noi tutti i giorni, anche se non ce ne accorgiamo, dobbiamo conquistare la loro fiducia. Cerchiamo di conoscere meglio i presenti. I nostri sguardi si incrociano ... riceviamo però solo sorrisi di circostanza.
E' quando ci pare che l'impresa sia quasi impossibile che avviene il miracolo: si avvicina una donna rumena. Dice di chiamarsi Elena e da lontano ci indica suo marito, suo figlio e sua nuora, incinta, che mangia un gelato. Elena siede vicino a noi e comincia a parlarci. La sua storia, come quella di tanti immigrati, ha dell’incredibile. Parte dalla Romania dieci anni fa a seguito di un’inondazione che ha distrutto la sua casa e fatto sparire i suoi beni. Dice di avere tre figli maschi, uno di 13, un altro di 16 anni, e uno più grande presente nel locale, oltre ad una figlia femmina di 17 anni. Vanno tutti a scuola tranne quello maggiore che ha lavorato fino allo scorso anno come buttafuori, ovviamente in nero, e a tutt’oggi sta cercando lavoro per riuscire a mantenere il figlio che nascerà tra pochi mesi. Lui cerca di sdrammatizzare dicendo “È questa crisi…che ci vuoi fare?” e ci sorride. Elena ha sempre lavorato come badante o donna delle pulizie ma adesso anche lei è disoccupata. “Crescere dei figli in questa situazione non è facile – mi dice – Cerco di fare il possibile per riuscire a farli studiare, mangiare, a curarli, ma non sempre i soldi che guadagniamo ci permettono di vivere”. Ci confessa che a volte ha anche chiesto l’elemosina e, commuovendosi, ci racconta di tutte le ingiurie che le cadono addosso ogni giorno. “Mi dicono ‘vai a lavorare’ - racconta - e forse non immaginano quanto desidererei farlo!”.
Elena è talmente presa dal colloquio da dimenticare che la sua famiglia la sta aspettando.
Ci abbraccia, ci ringrazia e tutta la famiglia ci saluta con un caldo sorriso.

Forse queste sono storie già viste, già sentite. Niente di nuovo. Ecco, quel ‘niente di nuovo’ porta le persone ‘normali’ a voltare lo sguardo, a fare finta di niente, a scansarsi quando una persona che puzza troppo gli si avvicina per chiedere un favore, quando magari quella persona aveva proprio una vita come la nostra.

Zarepta con il tempo si è trasformata in un vero e proprio ammortizzatore sociale, fondamentale per un numero così alto di bisognosi.
Se desiderate destinare il 5x1000 all’associazione potete farlo indicando nella dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale : 92016220441.