Si scava tra silenzio e pianti
C'è chi chiede il silenzio improvviso - in ansia - per dare segnale ai soccorritori: si cerca di carpire, di "scavare con le orecchie", tra quei blocchi di cemento e mattoni che potrebbero nascondere qualche vita in cerca di uno spiraglio di uscita. Ma è il pianto di qualche familiare che ridà il segnale al rumore delle macchine escavatrici, alle braccia instancabili di tutti quelli che tra queste macerie sudano e imprecano per strappare alla morte qualche altro abitante sorpreso nel sonno da questa immane tragedia. Si continua a scavare all'Aquila in almeno cinque punti critici della città dove intere palazzine sono venute giù come castelli di sabbia imprigionando tutto e tutti. Soprattutto gli universitari, i cui parenti adesso assistono chi in lacrime, chi con lo sguardo fisso, chi inebetito, al lavoro dei soccorritori. Si cerca perfino nello squillo dei cellulari, come traccia o segnale che avvicini i soccorritori ai corpi. La scena di disperazione e l'intervento di squadre tecniche di speleologi, si cerca di andare a conquistare qualsiasi anfratto tra le macerie dove si spera possano essere state create delle camere d'aria che possano salvare gli abitanti dei palazzi. Le ricerche sono frenetiche, non si riesce ancora a definire bene il numero delle persone sepolte, e per questo si cerca di carpire qualsiasi dettaglio o informazione ad amici, conoscenti e familiari. Ed è ancor più drammatico quando dalle macerie i bracci meccanici delle ruspe tirano via tra colonne di cemento armato e termosifoni anche i lettini di inermi bambini.