Nestlè condannata per la presenza di Itx nel latte Nidina

Nestlè condannata per la presenza di Itx nel latte Nidina

La commercializzazione del 'prodotto inquinato' comporta una responsabilità civile

del genere pronunciata in Italia".
Il giudice Salvatore Fisichella ha stabilito che "la commercializzazione del 'prodotto inquinato' comporta una responsabilità di natura contrattuale ed extracontrattuale in quanto si profila anche una ipotesi di responsabilità per il danno alla salute che la commercializzazione comporta". Il giudice di pace ha ritenuto che "gli attori hanno fornito prova idonea che a seguito dell'acquisto del latte Nestlé e della somministrazione dello stesso alle proprie figlie, subirono un danno di natura psicologica determinato dal turbamento e dalla preoccupazione che la prole possa essere contaminata a causa della sostanza 'inquinante'".
L'inchiesta prese l'avvio il 22 novembre del 2005 da un fascicolo aperto dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno che sfociò nel sequestro, eseguito dal corpo forestale, di 30 milioni di litri di latte per bambini.
A firmare il provvedimento di sequestro su tutto il territorio nazionale fu il procuratore Franco Ponticelli. La Nestlè annunciò subito dopo che lo stesso prodotto era stato ritirato, in via cautelativa, in altri tre paesi europei: Francia, Spagna e Portogallo.
Il latte - quello artificiale venduto in forma liquida - risultò inquinato dall'inchiostro utilizzato per la stampa della confezione in tatra pack; nessun problema, invece, per il latte in polvere.
Un primo sequestro di due milioni di litri riguardò solo latte Mio e Nidina 2 e avvenne il 9 novembre. Le analisi accertarono che tutte le confezioni in scadenza a settembre 2006 erano contaminate, quindi da ritirare dal mercato.
La Procura di Milano, in seguito ad una perizia tossicologica che non aveva convalidato la tossicità dell'Itx, decise di archiviare l'inchiesta.