Tettamanzi: rispettare l'uomo anche nella malattia

Tettamanzi: rispettare l'uomo anche nella malattia

«Anche la medicina può ammalarsi, ma, se curata adeguatamente, saprà ritrovare la sua forza»

di sofferenza. E' il senso dell'intervento svolto ieri dal card. Dionigi Tettamanzi al congresso nazionale dell'Associazione medici cattolici italiani in corso ad Ascoli Piceno. «Anche quando è gravemente e persistentemente malato, l'uomo - ha detto l'arcivescovo di Milano e assistente nazionale dell'Amci, citando il Salmo 8 - è e resta 'poco meno di un Dio', non è mai 'meno di un uomo', come invece vorrebbe vederlo chi considera la vita di alcuni pazienti 'non degna di essere vissuta', 'priva di valore umano', carica solo di una 'sofferenza senza senso'.
Non è così - ha aggiunto - secondo il disegno di Dio, che ha voluto affidare alla sofferenza la sublime dignità di uno strumento per il riscatto della nostra umanità dal giogo del male, facendo di essa, nella persona di Gesù, il prezzo della redenzione.
La nuova medicina scientifica, per essere veramente 'umana', ha bisogno di riscoprire la 'scientia Crucis', una scienza antica - ha sottolineato - ma perennemente attuale, dal momento che la redenzione si attua in ogni uomo e in ogni momento della storia». Tuttavia, ha affermato in un altro passaggio del suo intervento, «la medicina è umana per vocazione, non per un'opzione di chi la esercita. La medicina non può che essere 'umana', perché in nessuna condizione fisica o psichica - neppure quando ha perso la capacità di esercitare le facoltà umane, come la coscienza, la parola, l'autonomia del movimento o il controllo delle proprie azioni - il paziente - ha concluso il card. Tettamanzi - perde la sua umanità».

«Anche la medicina può ammalarsi, ma, se curata adeguatamente, saprà ritrovare la forza per tornare a servire ogni uomo che cerca sollievo per la sua sofferenza e una speranza per la sua guarigione».  «Ora - ha osservato - l'oggetto della medicina come scienza non è la persona dell'ammalato, ma piuttosto il fenomeno biologico nella sua manifestazione di disordine organico, di deviazione da una corretta fisiologia. Ma quando è concepita esclusivamente come indagine scientifica e intervento clinico sul corpo del malato, la medicina ha perso il suo originale e intrinseco centro di gravità, che è antropologico, per assumere un altro centro di gravità, che è quello patologico.
Lo spostamento del baricentro dalla medicina del paziente come 'persona malata' al paziente come 'corpo patologico' - ha proseguito il card. Tettamanzi - ha preceduto e in qualche forma accelerato negli ultimi tre decenni il progressivo indebolimento del prezioso equilibrio tra scienza e sapienza su cui si fonda quel rapporto umano, così delicato e in un certo senso singolare, che lega il medico al suo paziente. Un rapporto questo che, se viene ridotto nei termini di una pura contrattualità professionale, di diritti e obblighi esigibili in termini esclusivamente deontologici e giuridici, si svuota del suo valore di alleanza, solidarietà e fiducia.
Per coniugare il sapere delle scienze biomediche con quello che è frutto dell'esperienza di ciascun medico - ha ribadito infine - è richiesta la mediazione della sapienza. Senza la sapienza, la scienza non giova a nulla per l'uomo».